Abbiamo deciso di intervistarla dopo un incontro lampo alla Festa del Cinema di Roma. Ci aveva consigliato entusiasta "Marfa Girl" di Larry Clark e ora, con lo stesso entusiasmo, ha accettato di rispondere ad alcune domande sul suo lavoro di autrice e traduttrice. Nostra complice, Zelda Sayre. Lei è Tiziana Lo Porto, voce italiana degli adolescenti di Palo Alto (In Stato di Ebbrezza minimumfax, 2012) e autrice (insieme a Daniele Marotta) di Superzelda: La Vita Disegnata di Zelda Fitzgerald (mimimumfax, 2011) che proprio oggi esce tradotto in inglese per il mercato americano.
Ciao Tiziana. Ci incontriamo dopo l'uscita di "Superzelda" in Spagna e a pochi giorni dal debutto dell'edizione in lingua inglese: un traguardo importante. Come stai vivendo questo momento?
Sono contenta, per Zelda soprattutto. Con Daniele (Marotta, che ha disegnato Superzelda) abbiamo raccontato la storia di Scott e Zelda Fitzgerald per riscattarli dalle versioni delle loro vite che circolavano. Da una parte c'era la versione di Hemingway, che non ha mai sopportato Zelda, e che la considerava la palla al piede del marito, una sorta di impedimento alla creatività di Scott Fitzgerald. Cosa non vera. Dall'altra quella che voleva Zelda vittima di Scott e del suo egocentrismo. Scott avrebbe impedito a Zelda di diventare scrittrice anche lei. E anche questo non è vero. Di fatto i due si sono amati moltissimo, e non credo avrebbero voluto vite diverse, o compagni diversi da quelli avuti.
Tiziana Lo Porto e Zelda Sayre: quando si incontrano la prima volta?
La prima volta l'ho incontrata leggendo Tenera è la notte a vent'anni, ma non sapevo che Nicole Diver, la protagonista, fosse lei. All'epoca mi ero talmente innamorata di quel libro che avevo letto tutto Fitzgerald e guardavo solo film ambientati in quegli anni lì. Eppure non avevo indagato su chi fosse sua moglie. Poi negli anni l'ho trovata citata nei posti più disparati, in Manhattan di Woody Allen, in Being Boring dei Pet Shop Boys (il titolo e il testo citano Zelda: "Si rifiutava di annoiarsi principalmente perché non era noiosa"), nelle biografie di Janis Joplin e Patti Smith, e nei libri di uno scrittore americano, punk e musulmano che si chiama Michael Muhammad Knight. Michael l'ho conosciuto a Baltimora, e dal come parlava di Zelda m'ha convinto che valeva la pena saperne di più. Con Daniele poi ci siamo ritrovati a lavorare a una tavola a fumetti in cui c'erano Scott e Zelda, e lì abbiamo pensato insieme che fare un fumetto su di lei e chiamarlo "Superzelda" poteva essere una buona idea.
Leggendo la graphic-novel sono rimasto colpito dal suo stile. E' un raccontare in movimento, con istantanee lucide ed esistenziali che catturano la "verità" del personaggio Zelda. L'ho trovato molto cinematografico e se dovessi paragonarlo ad un film, direi "I'm not there" di Todd Haynes. Tu e Daniele Marotta come avete scelto la direzione da dare al vostro lavoro? Raccontami la genesi di "Superzelda".
Intanto c'è da dire che c'abbiamo messo tre anni a farlo (da quando abbiamo avuto l'idea a quando è uscito in libreria). Il primo anno è passato con me che leggevo qualsiasi libro parlasse di Zelda, e rileggevo tutto Fitzgerald, e guardavo vecchi film, e prendevo appunti. Sempre in quell'anno ho finito la sceneggiatura e Daniele ha fatto lo storyboard. Poi Daniele ha disegnato il tutto (il secondo anno di lavoro circa), e l'ultimo anno è passato facendo editing. 'idea era di lavorare come fosse un documentario, usando fonti scritte e iconografia in pari misura, in modo che tutto fosse come nelle loro vite reali. Per i dialoghi, quasi da subito, ho deciso che era il caso di restituire a Zelda la sua biografia per come l'aveva raccontata nei romanzi il marito. Per cui ho riletto tutto Fitzgerald (romanzi e racconti), rintracciato le eroine ispirate a Zelda, e cercando dialoghi che fossero funzionali al fumetto. I due, Scott e Zelda, avevano un accordo per cui Scott poteva usare diari, lettere, dialoghi di Zelda per le sue eroine, e Zelda era felicissima di essere nelle storie del marito. Lui voleva fare lo scrittore, leri l'eroina di romanzo.
Probabilmente Zelda può essere considerata un modello femminista, ma più che "l'essere donna" mi ha affascinato la sua febbrile ricerca "dell'essere". Non credo sia solo un discorso di genere. Zelda in fondo ha avuto la spinta di assecondarsi, un privilegio che in pochi si concedono. Cosa ne pensi?
Prima citavi I'm not there di Todd Haynes, ecco per me Zelda è un po' come Bob Dylan, in costante ricerca. Dylan la sua ricerca la fa con la musica, Zelda lo faceva con la vita reale. Non sopportava di rivivere due volte la stessa giornata. Appunto, come diceva lei, si rifiutava di annoiarsi. E quindi, no, non è un discorso di genere.
E a proposito dell'assecondarsi, Zelda non si è risparmiata nemmeno nei sentimenti. Le parti di "Superzelda" dedicate alla sua relazione con Scott Fitzgerald commuovono nel restituire l'amore folle, contraddittorio e primordiale che li legava. Quando finisci col chiederti "Perché continuavano a stare insieme?", la risposta non tarda ad arrivare. La tavola che chiude il libro è una sintesi perfetta dell'autenticità del loro legame. Com'è stato immergersi in un rapporto così complesso? Come hai trovato la chiave per raccontarlo?
In parte la storia si raccontava da sé. Leggendo e leggendo e leggendo tutto su di loro saltava fuori come quando fai i trasferelli e cominci a vedere le figure. La storia era lì, bisognava solo trovare la chiave giusta per raccontarla. Com'è stato immergersi e tutto quanto? Adesso è passato quasi un anno e mezzo dall'uscita italiana, e ancora non riesco a separarmi da loro. Ogni volta che vedo Zelda e Scott citati da qualche parte mi si illuminano gli occhi e riprendo le mie ricerche anche se il libro è bello che finito.
Da un personaggio femminile forte come quello di Zelda, vorrei passare alla dimensione femminile di uno dei progetti a cui stai lavorando in questo periodo: "Le ragazze del porno". Ho visto il trailer di presentazione e trovo interessante il discorso sulla "soggettiva del desiderio femminile". Vuoi parlarmene?
È un collettivo di registe e film-maker italiane con cui porto avanti un progetto di un'antologia di corti porno erotici, per raccontare in Italia e anche fuori dall'Italia che le donne italiane sono brave anche in questo, e per riappropriarci della pornografia. I corti saranno autoriali, indipendenti, non mainstream. Ci sono progetti simili in Svezia, Francia, Spagna, ovunque nel mondo, e a un certo punto ci siamo chieste, perché non in Italia. Il progetto è nato così. Al momento posso dirti questo. Nelle prossime settimane metteremo in rete un nuovo trailer spiegando bene di che si tratta (siamo su Facebook alla pagina My Sex).
Parliamo un po' del tuo lavoro come traduttrice. Qual è stato il libro che ti è piaciuto di più leggere e/o tradurre? Perché?
Ne cito tre. Il primo è una raccolta di poesie di Charles Bukowski, Evita lo specchio e non guardare quando tiri la catena. Minimumfax mi chiese di fare una prova di traduzione e poi mi assegnò la traduzione. Era il 2001, ricordo di avere tradotto il libro quasi tutto in Cina (ero a Pechino in vacanza per un mese, e andavo a tradurre alla Biblioteca Confuciana), il libro uscì nel febbraio del 2002, e fu la mia prima traduzione. Oltre ad amare smisuratamente Bukowski, traducendolo ho capito che il mestiere di traduttrice mi piaceva da morire. E così ho continuato. In pratica è il libro che m'ha fatto diventare traduttrice. Il secondo è Jim entra nel campo di basket di Jim Carroll, mio libro di culto da quando lo lessi negli anni novanta e sempre (continua a essere il mio libro prediletto). Sempre Minimumfax ha deciso di farlo ritradurre e anche qui, sapendo il mio amore per Carroll, mi ha affidato la traduzione e cura del libro. È uno degli ultimi libri che ho tradotto e uscirà in libreria il 21 marzo. Il terzo è In stato di ebbrezza di James Franco. E non lo cito per compiacere, ma solo perché di fatto è uno di quei libri che vorrei avere scritto io. L'ho pensato leggendolo la prima volta in inglese, l'ho continuato a pensare durante tutta la traduzione, e ne sono sempre convinta. Mi piacerebbe, nella scrittura, riuscire a ottenere un simile equilibrio tra realtà e finzione, meglio: avere la bravura che ha Franco nell'usare la finzione per raccontare la realtà. Così vorrei scrivere.
Spesso accade che le traduzioni, non potendo evidentemente trasferire alla lettera le parole originali, non riescano a rendere a pieno il senso della lingua originale o delle particolari sfumature. Come affronti questo problema?
Diceva Derrida, le traduzioni sono come problemi matematici, e alla fine devi trovare la soluzione, non li puoi lasciare irrisolti. Di problemi del genere è costellata ogni traduzione, ma non li chiamerei nemmeno problemi, sono il bello di una traduzione, che altrimenti si ridurrebbe a un lavoro meccanico. E li affronti con coraggio e responsabilità. Quando si parla di traduzioni si usa il verbo "affidare". Ti viene "affidata" una traduzione. E tu te ne devi prendere cura. E lo devi fare nel migliore dei modi possibili.
Quanto di tuo metti nelle tue traduzioni? Preferisci restare il più fedele possibile all’originale o non ti dispiace lasciare la tua impronta?
Non è una questione di vanità. A volte devi cambiare per non tradire. Qui sta la fedeltà.
Com'è stato tradurre "Palo Alto"? Che approccio hai utilizzato, considerando che si tratta di una raccolta di racconti e non di una storia unica?
È una raccolta di racconti ma sono tutti correlati, e bisogna solo trovare la voce giusta che ti permetta di entrare e uscire dai personaggi. Alcuni personaggi sono femminili, altri maschili, altri con la sessualità incasinata che si ha da adolescenti. Credo sia stata una buona idea affidare un libro del genere, scritto da un uomo, a una donna. In ogni personaggio forse s'è creato il giusto equilibrio di maschile e femminile. La difficoltà di quel libro poi non stava nel cambiare voce da racconto a racconto, ma nel tornare a essere adolescenti, raccontare tornando ad avere quell'età lì. E anche in questo caso, più che una difficoltà è stato un valore aggiunto dei mesi passati a tradurlo. Direi un privilegio.
I "freak" di Palo Alto: quali sono il racconto e il personaggio che ti hanno coinvolto maggiormente?
Quando traduci dedichi a ogni storia, a ogni pagina, a ogni frase, tanto di quel che tempo che finisci di innamorarti di tutti. Ed è anche una delle qualità del libro, sono tutti trattati allo stesso modo, con la stessa devozione e attenzione. Poi non li chiamerei freak, sono ragazzini, tali e quali a come eravamo noi alla loro età.
Cosa pensi dell'"altro" James Franco? Quello non solo attore, ma anche intellettuale?
Credo siano la stessa persona. Non vedo nessuna distanza. Sei quello che fai, e se fai più cose queste cose che fai si contaminano tra loro necessariamente. La scrittura e l'arte e le mille cose che fa gli serviranno anche per il suo mestiere di attore, e viceversa.
Quando l'hai incontrato hai riconosciuto l'autore dei suoi racconti?
Siamo diventati subito amici. Evidentemente ci siamo riconosciuti a vicenda.
Sei molto attiva sui social e ultimamente non ho potuto fare a meno di notare un ospite speciale che ricorre nei tweet e nelle foto che posti su instagram: Emily Dickinson. Cosa bolle in pentola?
Emily Dickinson è un mio amore privato, una di quelle cose che magari porterò avanti per tutta la vita, va' a sapere. Ma non credo diventerà mai un libro né niente. Chi lo sa. Daniele adesso sta disegnando il secondo fumetto, che ho finito di scrivere qualche mese fa, ma siamo ancora all'inizio. Sarà più una mia storia autobiografica. E io adesso sono a New York a fare ricerche per il terzo. Sarà ambientato qui a New York, negli anni Sessanta, e ci saranno dentro un sacco di personaggi di quell'epoca. Scrittori ma non solo.
Per JAMES FRANCO ITALIA hai recensito "The Best of The Smiths", la raccolta di poesie di James Franco ispirate alle canzoni degli Smiths. So che la musica occupa buona parte della tua vita. Vorrei che ci lasciassi con un consiglio: un disco da ascoltare assolutamente.
Ho tradotto solo una poesia della raccolta, sarebbe bello tradurle tutte, e tradurre anche le altre sue poesie. Tutte quante bellissime. Circa il disco, arrivata a New York la prima cosa che ho fatto è stata comprare un giradischi per la mia casa nuova e ricominciare da zero e con i vinili. Poi sono entrata in un negozio di dischi pensando: adesso impazzirò nel decidere quale dovrà essere il primo vinile, il numero uno. E poi però mi sono ricordata del primo cd che ho comprato quando sono nati i cd, che prima ancora era stata una delle mie prime cassette, e poi è finito in mp3 nel mio iPod e nel mio iPhone e che ho ascoltato in tutte le sue forme e fino allo sfinimento (altrui, io non mi stancherò mai di quel disco), e l'ho comprato. Blonde on Blonde di Bob Dylan. Alla fine è sempre a Dylan che torniamo.
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