Incuriositi dal nuovo, folle progetto di James Franco, Francophrenia? Volete saperne di più? Ecco la lunga intervista di Matt Barone a Ian Olds (che ha co-diretto il film), pubblicata su COMPLEX in occasione della premiere al Tribeca Film Festival, e tradotta in esclusiva per "JAMES FRANCO ITALIA" da Chiara Fasano.
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Ian Olds e James Franco al "Tribeca Film Festival" |
Non so se fossero queste le vostre intenzioni per Francophrenia, ma devo ammetterlo: ho riso tutto il tempo.
[ride] Fantastico. Per me se non fa ridere, allora non ha funzionato, ma si tratta di uno humor un po' strano. Per esempio, quando l'abbiamo presentato a Rotterdam, questo sense of humor non ha avuto l'effetto voluto che invece ha avuto qui, così non c'è stata una grande reazione. Ma spero risulti come un incrocio tra una commedia e uno show dell'orrore, in qualche modo. Spero faccia ridere. Non deve essere preso troppo sul serio.
Conoscere tutte le cose bizzarre e ambiziose che sta facendo James Franco con il suo status di celebrità mi ha molto aiutato ad abituarmi allo humor e a trovare il tutto molto più divertente.
Esatto, è da lì che si deve partire: capire che questo è un modo per confrontarsi con tutte queste domande che circolano da un po', "Ma che cos'ha in mente James Franco? Ci è o ci fa? È un genio o dice solo cazzate?" Questo è senza dubbio il punto di partenza.
Partiamo dall'inizio. Come vi siete incontrati?
Qualche anno fa ho montato un film chiamato Saturday Night, un documentario diretto da lui sul dietro le quinte della puntata del Saturday Night Live condotta da John Malkovich. Fu presentato al SXSW film festival e anche acquistato – deve ancora essere distribuito, credo ci siano dei ritardi dovuti a robe legali. Quindi, ci incontrammo in occasione di quel film e sapevo che aveva filmato tutti i dietro le quinte della sua partecipazione a General Hospital, ma non l'avevo visto. Ne parlammo, volevamo fare qualcosa con quel materiale, ma non sapevamo bene cosa esattamente; all'inizio lui disse: "Sì, proviamo a fare un documentario", ma io sapevo che voleva fosse un documentario un po’ più sperimentale.
Quando cominciai a vedere il girato, mi resi conto che un documentario tradizionale non sarebbe stato tanto interessante con quel materiale che aveva, così ho avuto l'idea di scrivere questo terzo Franco parallelo. Gliene ho parlato e si è mostrato totalmente aperto all'idea, la trovava buona e divertente. E ha dato a me e al mio co-sceneggiatore Paul Felten molta libertà nel giocare con la sua immagine, l'ho apprezzato molto.
Credo che il film sarebbe molto diverso se si avvertisse che James Franco prenda ogni decisione su James Franco. Invece, parte della tensione deriva dal fatto che, da una parte c'è questo "vero" James Franco sullo schermo e dall’altra c'è questo James Franco immaginario che noi abbiamo proiettato su di lui, il quale è in qualche modo fuori dal suo controllo ed è questa tensione che fa ridere. Ovviamente lui è stato coinvolto e ha collaborato con noi, ma ci ha dato tantissima libertà di sconvolgere la sua immagine; di certo non è intervenuto per accertarsi che la sua "celebrità" fosse mostrata in un certo modo.
Così è diventato un esperimento di cui lui è il creatore, ma anche il soggetto, e questo era importante.
È affascinante pensare che tu non stessi nemmeno sul set, per girare quel materiale, perché in tutto Francophrenia sembra davvero che lui stia recitando per la telecamera. Ti ha mai parlato delle sue intenzioni iniziali, ovvero di portare una troupe sul set? Perché sembra davvero che sia stato tutto studiato.
Sì, in effetti gliene ho parlato, ma alla fine del processo. Lui sapeva di essere in un momento in cui erano in gioco un sacco di spunti interessanti, ma non sapeva esattamente cosa farne. Sembra che stia recitando per la telecamera, ma principalmente perché c'erano tre telecamere, installate da lui e dal suo team, che giravano costantemente. Così io mi sono ritrovato con tutto questo girato e questi momenti assurdi, perché la camera è quasi sempre su di lui, quindi ho cercato di trovare tutti i momenti in cui lui è esposto in un certo modo e che fossero buoni per proiettare la voce interiore o quelli più strani e comici.
È importante che faccia ridere, perché altrimenti diventa noioso e non funziona. Ma allo stesso tempo, non volevo che non ci fosse nient’altro oltre questo, così ho cercato inserire degli elementi più inquietanti, per non dire altro. [ride]
Infatti, se da un lato usiamo il documentario per raccontare questa storia di finzione, dall'altra usiamo l'artificio della storia per strutturare il documentario e permettervi di guardarlo con occhi più freschi. Ci sono persone vere che fanno il loro lavoro ed è piuttosto surreale, tutta l'energia che circola in questa folle soap opera. Quindi penso sia divertente, ma allo stesso tempo disturbante.