giovedì 13 marzo 2014

Revisiting 'Twin Peaks'



di James Franco


Di recente ho sentito molto parlare di David Lynch, ma non dall'entourage di Lynch o di un suo nuovo progetto (quant'è passato, otto anni da Inland Empire?). Piuttosto, ne parla chi sta rivedendo i suoi lavori, specialmente Twin Peaks. Ero alle medie quando uscì la serie e mi interessavano più robe come Beverly Hills, 90210 (la prima edizione, col mio amico Luke Perry nel ruolo di D-McKay).

Ma perfino il piccolo me culturalmente acerbo non poteva non essere consapevole del fenomeno che fu Twin Peaks, quando invase le prime serate. La prima stagione ci inondò con una valanga di innovazioni creative, di cui la televisione aveva bisogno, come la reazione di critici e telespettatori dimostrò chiaramente.

Nelle interviste e nel suo libro, In Acque Profonde (Catching the Big Fish), Lynch dice che lo sviluppo della serie fu graduale: fu contattato, insieme al suo co-creatore Mark Frost, per scrivere una serie televisiva (avevano già lavorato al progetto mai prodotto su Marilyn Monroe), e decisero di fare un tentativo. Quello che cominciò come un racconto misterioso ambientato nel Nord e Sud Dakota, fu spostato nel Nord-Ovest del Pacifico (il titolo fa riferimento alla logistica della città fittizia del racconto, annidiata tra due picchi).

Il pilot andò in onda con la precisazione che avrebbero girato un finale incapsulato in quellunica puntata nel caso in cui la serie non fosse stata prodotta—potete trovare questo veloce finale, in cui l'uomo con un braccio spara a Killer BOB nel sotterraneo dell'ospedale, nel cofanetto dei DVD. Lynch e Frost non credevano che l'avrebbero fatta continuare; la prova con i dirigenti della rete non andò malissimo, ma neanche benissimo. Dopo di che, sfidando ogni probabilità, o quasi, andò in onda e il successo fu esplosivo. Tutti si chiedevano: Chi ha ucciso Laura Palmer?

Una domanda migliore, comqunue, è: Chi ha ucciso Twin Peaks? E la risposta qui è facile: la stessa persona—presumiamo che sia uno dei direttori della rete—che costrinse Lynch a trovare una soluzione all'assassinio di Laura Palmer. La chiave per ogni giallo, se vuoi tenerlo vivo, è mantenere la tensione altissima; e la chiave per tenere vivo il mistero è non risolverlo. Più di questo, il fascino di ogni noir, da Raymond Chandler alla nuova serie della HBO, True Detective, non dipende dal trovare chi è stato. E' più interessante e più realistico ciò che riguarda i colori dei personaggi che incontriamo lungo la strada, la loro memoria selettiva, i narratori inaffidabili e i conflitti morali inerenti alle situazioni complesse che sfumano il confine tra il bene e il male.

Un altro esempio di questo tipo di narrativa di alto livello a sfondo noir è il film tratto dal romanzo poliziesco di Raymond Chandler, Il Grande Sonno, con Humphrey Bogart e Lauren Bacall. La storia è notoriamente piena di buchi nella trama, ma ci piace per i personaggi, l'atmosfera, le relazioni umane (imperfette)—alla fine, a nessuno importa niente del giallo e di chi ha commesso il misfatto.

La morte di Laura Palmer—una ragazza che va al liceo in una piccola città, le cui voci la vogliono, prima, come una cittadina di serie A, un angelo che lavora ai servizi sociali e poi come un demonio che sniffa cocaina e partecipa a orge—era il perfetto incidente da cui partire per esplorare tutti i segreti sommersi di quella che, in superfice, sembrava una comunità borghese tranquilla e convenzionale. L'emergere di un elemento di disordine ha fatto venire a galla tutti gli altri segreti della cittadina.

Se l'assassino non è rivelato, tutti sono dei sospetti e, quindi, ogni pezzetto di normalità diventa improvvisamente interessante, perché ogni cosa può essere un indizio. Un camionista che spaccia droga agli atleti di un liceo, un uomo che persuade dei norvegesi a investire nel suo hotel, un mulino che va a fuoco, un'adolescente che ha una cotta per un agente dell'FBI—tutti questi elementi si incastrano l'uno nell'altro a causa della morte sospetta di Laura. Ma se punti l'indice contro una persona e dici, E' stato lui, l'interesse in tutte queste componenti trasversali va perduto. Di fatto li sostiene tutti.

La vita quotidiana di Walter White in Breaking Bad, una sorta di soap opera di per sé, è diventata infinitamente più coinvolgente man mano che la serie è andata avanti, perché è stato proprio quel minimo di normalità nella sua vita che cercava di mantenere mentre costruiva un impero della droga, a far ottenere alla serie un pubblico più vasto di quello che avrebbe normalmente ottenuto se il fulcro fosse stato semplicemente lo spaccio di droga. Non molto tempo fa nella trama, Walter era un umile insegnante di chimica con una vita banale. Questo ha fatto sì che la storia piacesse a tutti; Walter era uno di noi. E se Walter White avesse improvvisamente deciso che il denaro che avrebbe lasciato alla sua famiglia dopo la sua morte sarebbe stato abbastanza e avesse lasciato la fabbricazione di metanfetamina—boom, niente più serie. Se Tony Soprano avesse abbandonato la mafia all'improvviso, boom, niente più serie.

Nel momento in cui Woody e McConaughey capiranno chi è lo Yellow King—insieme alla vittoria dell'Oscar di McConaughey per un'interpretazione straordinaria, ma in un film che ignora uno degli sforzi che hanno caratterizzato la comunità gay, la loro unione per combattere l'AIDS davanti a una nazione che li ignorava, facendo di Dallas Buyers Club il The Help di quest'annoTrue Detective finirà, o almeno questa stagione. Ma comunque la serie ha frenato a sufficienza le aspettative riguardo alla lunghezza e all'impatto della storia.

Twin Peaks aveva preparato il terreno per una storia che sarebbe andata avanti per molto; ruppe la tradizione del racconto di storie ad episodi, allestendo un noir che sarebbe stato sviluppato in più stagioni. Questa dev'essere parte del motivo per cui la serie ha attirato così tanta attenzione di recente, almeno nel mio giro. Lynch dice che ebbe delle pressioni per rivelare l'assassino di Laura—lui non sapeva nemmeno chi fosse—e cedere a quelle pressioni lo portò ad uno stato di profonda tristezza.

Il grande David Foster Wallace ha scritto un saggio su Lynch, chiamato "David Lynch Keeps His Head", un'analisi intelligente sull'arco della carriera di Lynch fino a quel momento (il 1996). Eraserhead - La Mente che Cancella era il prodotto di cinque anni di scuola di regia, un progetto che reca con sé tutte le tracce di un pittore diventato regista nell'enfasi dell’effetto, delle simbologie e della prevalenza dei personaggi sulla chiarezza narrativa (Lynch sostiene che era uno dei film preferiti di Kubrick).

The Elephant Man era un divertissement del giovane regista alle prese con lo strano come tematica centrale, ma incorniciata in una struttura relativamente convenzionale. Dune era il progetto che dimostrava l'incompatibilità tra Lynch e i grandi studios, perché la sua arte dipende dal suo pieno e totale controllo. Non perché sia un maniaco del controllo, come Wallace suggerisce nel suo saggio, ma perché la lavorazione è per Lynch in costante evoluzione.

Non a caso a Dune seguì Velluto Blu (Blue Velvet), a segnare il passaggio verso un approccio low budget, in cui potesse avere un controllo totale e riportare lo strano all'interno della struttura. Twin Peaks è, per molti versi, un sequel di Blue Velvet, si sarebbe potuto chiamare facilmente Red Velvet, basandosi sulla stanza rossa dei sogni dei personaggi (e di Lynch). Lynch cita la Meditazione Trascendentale come fonte delle sue idee, perché gli ha aperto le porte per qualsiasi luogo in cui l'ispirazione l'avrebbe potuto portare. Il personaggio di BOB e la stanza rossa di Twin Peaks sono arrivati in un momento di improvvisa ispirazione. Non è facile seguire le ispirazioni quando una rete cerca di farti conformare alle tranquille aspettative di un pubblico e, di fatto, seguire quell'ispirazione significherebbe decimare gli ascolti, come provò chiaramente la seconda stagione di Twin Peaks.

@Vice, traduzione italiana Chiara Fasano

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