di James Franco
pubblicato su NY Times / traduzione italiana Chiara Fasano
Le selfie sono una cosa nuova per me, ma dal momento che sono diventato sempre più Instagram-dipendente, sono stato accusato di postarne fin troppe. Mi hanno citato al "Today" show e mi hanno perfino chiamato il re delle selfie.
Sarà pure così, ma solo perché ho imparato che le selfie sono i post pubblicati più frequentemente — e che attirano un numero maggiore di "mi piace" da parte dei propri follower. I "mi piace" arrivano senza controllo per le mie selifie quando ritraggono me e i miei due bellissimi fratelli, specialmente Dave, l'altro attore, che attira anche le sue legioni di fan adolescenti.
So anche quali post non attirano molta attenzione o mi fanno perdere follower: le foto di progetti d'arte; i video che dicono agli "hater" di stare alla larga (in non così tante parole); e le foto di poesie. (Badate però: se ne posti una che hai scritto tu, la gente diventa velocemente esperta di poesia ed è ansiosa di esporti una sua critica, del tipo: "ti odio, devi morire").
Ma una fitta collezione di selfie attira l'attenzione. E "attenzione" sembra essere il nome del gioco di cui si parla quando si dice "social network". In quest'era in cui basta un solo click per ottenere migliaia di informazioni, il potere di attrarre un pubblico in mezzo al mare di cose da leggere e da vedere è non a caso un potere. E' quello che vogliono gli studios cinematografici per i loro prodotti, è quello che vogliono gli scrittori professionisti per le loro opere, è quello che vuole la stampa — diamine, è quello che vogliono tutti: attenzione. L'attenzione è potere. E se la gente è interessata a te, allora la selfie fornisce qualcosa di molto potente, dalla prospettiva più privata possibile.
Parliamo delle selfie delle celebrità, un ambito ben definito. Hanno valore indipendentemente dalla qualità della foto, perché sono verosimilmente scatti privati di qualcuno per il quale il pubblico prova una certa curiosità. I paparazzi ucciderebbero per uno scatto simile, perché guadagnerebbero tantissimo; sono le foto che vorrebbero i tabloid e i blog, perché avvicinerebbero un grande numero di lettori.
E la selfie della celebrità non è solo un ritratto privato di una star, ma è un ritratto realizzato anche dalla suddetta star — un doppio colpo. Prendete l'account di Justin Bieber (il re in carica di Instagram?), e troverete per la maggior parte delle selfie. Prendete altri account con millioni di follower — come quello di Taylor Swift o Ashley Benson (della serie TV "Pretty Little Liars") — e troverete selfie dai backstage, selfie con amici, selfie con cani e gatti.
Queste star conoscono il potere della loro immagine e sanno come quel potere può aumentare attraverso l'esibizione di un materiale confidenziale — qualsiasi cosa che dica, "Eccovi un po' della mia vita privata".
Ho capito che Instagram funziona come l’industria del cinema: sei al sicuro se il tuo motto è "uno per loro" e "uno per te stesso", ovvero, per ogni foto di un libro, un dipinto o una poesia, cerco di postare una selfie con un cagnolino, senza maglietta o con Seth Rogen, perché queste sono le cose che generalmente piacciono.
Ora, mentre la selfie della celebrità ha potere come momento pseudo-personale, la selfie della non-celebrità è un'’opportunità per mostrarsi, per far vedere una parte di sé — come ci si è vestiti per un'occasione speciale, o svestiti, il che può voler dire, "C'è qualcosa di importante in me che i vestiti nascondono e che io voglio svelare".
Certo, l'autoritratto è un bersaglio facile per chi vuole accusarti di autoreferenzialità, ma, nella cultura dell'immagine, la selfie, facilmente e velocemente, mostra — e non 'dice' — come ti senti, dove sei, cosa stai facendo.
E visto che la nostra vita sociale sta diventando sempre più elettronica, noi ci applichiamo sempre di più nell'nterpretare i social media. E' difficile comunicare come ti senti in una conversazione via sms, mentre una selfie mette tutto in chiaro all'istante. La selfie è uno strumento di comunicazione più che un segno di vanità (ma sì, può essere anche un po' vanesia).
Abbiamo tutti motivi diversi per postarle, ma alla fine le selfie sono avatar: sono dei Mini-Me che inviamo agli altri per dare un'idea di chi siamo. Per la verità, rimango un po' deluso quando apro un account e non vedo selfie, perché io voglio sapere con chi mi sto relazionando. Nell'età dei social network la selfie è un nuovo modo per guardare qualcuno dritto negli occhi e dire, "Ciao, questo sono io".
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