domenica 23 marzo 2014

True Characters in 'True Detective'



di James Franco

Alright, alright, alright, True Detective è finito. Non vedremo mai più Matthiew McConaughey e Woody Harrelson nei panni dei detective Rust Cohle e Marty Hart. E' stato bello vedere, per otto settimane, questi due dinamici investigatori confondersi con il sudaticcio paesaggio della Louisiana, mescolarsi a vicende di fede e assassassinii. La serie antologica (che essenzialmente inquadra ogni stagione come una miniserie a sé), scritta da Nic Pizzolatto e diretta interamente da Cary Fukanga, è un grande studio sull'adattamento letterario per il più lungo dei format del piccolo schermo.

Anche se True Detective non è tratto da un libro, i suoi personaggi, l'atmosfera, l'impostazione e la sottomissione delle donne riflettono perfettamente lo stile di Pizzolatto. Piuttosto che un adattamento di una particolare storia o romanzo, è letteralmente un adattamento della sua scrittura. Ciò vuol dire che l'artista ha cambiato mezzo, che è il motivo per cui la serie ha un respiro così letterario (esemplificato da riferimenti a Friedrich Nietzsche e la raccolta di storie soprannaturali di Robert W. Chambers, The King in Yellow), e anche perché lo spettacolo non è tanto la risoluzione del crimine, quanto la relazione tra i nostri White Kings, Rust e Marty.

Generalmente, non credo che sia particolarmente facile per un romanziere scrivere una sceneggiatura. Si tende a dilungarsi troppo sui dialoghi. Oggi, forse, per avere un po' più di sfumature, sarebbe bene distinguere le sceneggiature per la televisione, quelle per il cinema e anche quelle per le miniserie e le antologie (specialmente quelle della HBO) dagli script delle serie tv di lunga durata, perché non c'è abbastanza spazio per la sperimentazione in televisione. Al contrario del cinema, c'è molto più spazio narrativo da riempire, quindi le storie possono gestire più sviluppi nella trama, senza, per questo, implodere e i personaggi possono vivere uno sviluppo pari a quello dei personaggi del miglior cinema. E le miniserie, formalmente, creano, per natura, le aspettative per uno sviluppo di una storia di lunga durata, mentre una normale serie è più episodica. E' da discutere se le nostre serie tv preferite di oggi, come Breaking Bad e The Wire, mantengano la stessa connessione creativa di una miniserie. La loro popolarità ha contribuito a forgiare un'audience pronta ad immergersi in serie antologiche come True Detective e American Horror Story. Questo format antologico dà a True Detective la struttura e la forma di un libro più che di un film o di una convenzionale serie tv a episodi.

Quanti registi di cinema vorrebbero che i loro personaggi e le loro storie vivessero al di là della durata tacitamente decisa di due ore? Se guardate The Wolf of Wall Street, un film di Martin Scorsese che si estende al traguardo delle tre ore, vi renderete conto che dura così tanto perché c'è un regista innamorato dei suoi personaggi e del loro mondo. Scorsese ha l'impulso di esplorare tutti gli aspetti di quel mondo, piuttoste che l'interesse a creare un teso arco drammatico. Chi ha detto che The Wolf of World Street sarebbe potuto durare un'ora in meno, la vedrebbe diversamente se lo stesso soggetto fosse presentato in una serie tv. Nessuno ha mai detto, "True Detective è troppo lungo", o "Mi sarebbe piaciuto che True Detective fosse durato quattro episodi invece di otto". In realtà, l'arco di otto episodi è quasi troppo corto, in confronto alle centinaia di episodi che ci vogliono per coprire l'ascesa e la caduta di Walter White come re della metanfetamina di Albuquerque. Ci sono diverse aspettative di fronte a queste forme diverse, quindi i creatori possono darci molto di quel buono e profondo materiale di cui lamentiamo la mancanza nei film. Ma questo accade perché, nei film, reclamiamo che si indugi troppo a lungo sui personaggi.

Il primo romanzo di Pizzolatto, Galveston, pubblicato nel 2010, comincia negli stessi spazi isolati della Louisiana, suo luogo natale, prima di spostarsi nella città del Texas del titolo. Protagonista di Galveston è un delinquente con pistola al seguito che scappa dalla Louisiana al Texas con una prostituta dal cuore d'oro e sua sorella di tre anni, dopo che il suo ex boss gli ha rubato la ragazza e ha cercato di ucciderlo. Ho sentito che, grazie a True Detective, Galveston diventerà un film, ma con qualche cambiamento nella storia. Il protagonista ha un cancro terminale tipicamente walterwhitiano, un comprovato espediente narrativo che dà al personaggio la licenza di commettere azioni estreme con l'implicita approvazione del pubblico e induce ad una profonda ricerca interiore sul personaggio. Vedremo come affronteranno questo espediente narrativo sulla scia dello spacciatore vittima del cancro preferito da tutti.

La somiglianza più grande tra Galveston e True Detective è l'uso della prolessi. La bellissima struttura narrativa di True Detective, in cui la prima metà della serie è un resoconto della significativa storia passata, fatta dal nostro duo, verosimilmente a causa di una virtualmente inspiegata, vagamente definita indagine interna per opera di due agenti afro-americani, ha il suo precedente in Galveston, in cui scopriamo che il nostro eroe tormentato dal cancro sta, in realtà, raccontando la sua avventura di vent'anni dopo (un movimento strano che, di fatto, indebolisce il conto alla rovescia del meccanismo della malattia terminale, impostato all’inizio della storia). Pizzolatto, se non altro, è un maestro della narrativa a più livelli, sottilmente autoreferenziale, in cui le varie prospettive temporali portano a diversi e spesso erronei resoconti dell'azione principale—pensate all'episodio di True Detective in cui i ragazzi sospettano due persone del frettoloso omicidio, o quando la moglie di Marty mente agli agenti riguardo alla sua relazione con Rust al tempo "presente", mentre le immagini saltano nel passato e vediamo che, invece, hanno fatto sesso in piedi in cucina per un totale di 10 secondi (purtroppo non ci sono inquadrature del pene di McConaughey).

I gialli che preferisco sono incredibilmente coinvolgenti, ma col senno di poi, molti dei più misteriosi elementi delle trame non reggono in tutto e per tutto. Probabilmente a causa dell'inclinazione dell'autore a depistare, a ingannare il pubblico. D'altro canto, si può sostenere che sia come nella vita reale, dove molte domande non trovano una risposta. Si tratterebbe di un problema se il giallo si sviluppasse tutto attorno al concetto di "chi è stato", ma i migliori sono quelli in cui arrivi a conoscere i protagonisti come personaggi e tutti i tizi strani in cui si imbattono lungo la strada. Per esempio, la famosa scena di sei minuti nell'episodio quattro, in cui Rust, sotto copertura, è un motociclista che si rende complice di una sparatoria tra gang, per me non ha molto senso, narrativamente: stanno facendo delle indagini su un assassinio e Rust ritiene necessario farsi complice dell'uccisione una mezza dozzina di gangster neri da parte di una gang di bianchi per avere accesso a un possibile sospetto? A pensarci, è un po' stupido. Eppure, non importa, perché la storia ha personaggi veri. Restiamo incantati dal prodotto nell'insieme quando vediamo il convincente ritratto di un detective nichilista di McConaughey. Quanti corpi vengono persi lungo la strada o se alla fine riescono a beccare i colpevoli, non ci riguarda. Quel che ci riguarda sono Marty e Rust come esseri umani, il che è il cuore di ogni narrazione come si deve.

In effetti, avrei voluto che non trovassero il tizio con la faccia di spaghetti. Potenzialmente, ci sarebbe potuta essere un'altra stagione con i nostri ragazzi. Pizzolatto avrà molto da lavorare per fare qualcosa all'altezza di True Detective.

fonte @VICE, traduzione italiana Chiara Fasano

2 commenti:

  1. Ma perché James Franco si rammarica di non aver potuto vedere il pene di McConaughey?

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  2. Perchè, tu non avresti voluto vederlo? :))

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