domenica 26 aprile 2015

James Franco parla di 'I Am Michael' su Blackbook



I am Michael aprirà il Frameline Film Festival il prossimo 18 giugno. Dopo le premiere al Sundance e a Berlino, James Franco e il regista Justin Kelly, continuano a promuovere la pellicola, come nell'ultimo numero della rivista BlackBook, dove posano davanti all'obiettivo di Eric Ray Davidson e rispondono ad alcune domande.

Ecco cosa dice James a proposito del film e del suo ruolo.

Fino ad ora abbiamo visto affrontare la tematica del coming-out, del combattere per i propri diritti, della relazione segreta, come in "Brokeback Mountain". Tutti questi film sono molto importanti, ma non serve che ogni film sia così.

Una volta che quelle storie sono già state raccontate, possiamo narrarne di altre inaspettate, storie che rappresentano una sfida per noi o magari ci mettono a disagio. In I Am Michael trovo molto innovativo vedere un uomo andare in una direzione che non ti aspetti e quella stessa direzione ci porta a farci un sacco di domande sull'identità, su che tipo di identità nello specifico, come si può definire e chi è che lo decide.



E poi questo film affronta anche, in maniera molto seria, il problema del rapporto tesissimo tra fede e sessualità. Ma la novità qui non è solo rappresentata dalla traiettoria del personaggio principale, bensì dal fatto che Justin abbia fatto un film sulla vita interiore di un individuo, sul suo credo e su come si trasforma nel tempo. Nessuno lo aveva mai fatto.

Non capita mai di seguire le tappe della fede di una persona in un film. Di solito un personaggio ha un bisogno principale o incontra un ostacolo ben definito. Un personaggio di cui vediamo tutti i passaggi della sua interiorità è davvero inusuale.

Prendiamo un film come "Shame", un film fatto incredibilmente bene, per molte ragioni, però il protagonista – che dovrebbe essere una persona dipendente dal sesso, anche se a me non sembrava poi così dipendente – doveva essere in qualche modo punito alla fine.

Mi ha lasciato non poche perplessità che si sottolinei che andare in uno squallido locale gay, mostrato come una sorta di inferno, e poi farsi fare un pompino da un ragazzo rappresenti il gradino più basso su cui una persona possa finire.

Potete leggere l'intervista integrale su bbook.com

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