giovedì 17 novembre 2011

Franco/Carter: l'intervista di THE BELIEVER tradotta in esclusiva per JAMES FRANCO ITALIA



James Franco
[ARTISTA/ATTORE/SCRITTORE]
conversazione con
Carter
[ARTISTA]
 “PENSO CHE CI SIA SEMPRE STATO QUESTO UNICO LUNGO FILO ROSSO A COLLEGARE I MIEI LAVORI, CHE SI TRATTASSE DI PITTURA, DISEGNO, FILM O SCULTURA. TUTTO E’ STRETTAMENTE CORRELATO” 

Nuova interpretazione di Three’s Company
Una camera focalizzata su un unico personaggio
Una camera che gira tutt’intorno alla location
Una camera che si sofferma su strane inquadrature del cinto pelvico


Carter è il mio doppio. Qualsiasi cosa io stia pensando, anche Carter l’ha pensata. È un grande collaboratore perché non litighiamo mai; ognuno si interessa alle idee dell’altro. Ci siamo incontrati alla fine del 2007 e abbiamo fatto un film a Parigi, Erased James Franco. Io interpretavo James Franco. Abbiamo lavorato a un altro progetto con manichini, baffi e motociclette chiamato Double Third Portrait. Abbiamo scritto e creato disegni per un libro per bambini chiamato Hellish. È stato lui che mi ha fatto pensare a una partecipazione a General Hospital; ed è stato lui che mi ha dato l’idea di reinventare Three’s Company in chiave drammatica. Abbiamo fatto un altro film insieme, Maladies, che parla di noi; Catherine Keener interpreta lui. In Maladies i due protagonisti fanno un patto: se uno dei due muore, l’altro dovrà completare il suo lavoro. Io sarei onorato di stringere un tale patto con Carter, perché lui mi capisce di più della maggior parte delle persone che conosco. Mi ha insegnato quasi tutto quello che so sull’arte. Ora stiamo lavorando ad un libro di poesie.

—James Franco


Passo molto tempo da solo, lavoro nel mio studio, con una radio e nient’altro – faccio arte. Non avevo molta esperienza, né interesse nella collaborazione in campo creativo, fino a quando ho iniziato a lavorare con James. Apprezzo il suo entusiasmo e la sua voglia di lavorare a tante cose allo stesso tempo, 24 ore su 24. È un’ispirazione ed è positivo. Arte e ancora arte. Lavorare con James sulla creatività continua a essere un’esperienza speciale per me. Ho provato a “cancellarlo”, ma a quanto pare ho usato il lato sbagliato della matita. Però continuo a provarci. 

—Carter   

Ho incontrato James Franco e Carter nella stanza 407 del Bowery Hotel, a Manhattan. Dicono che l’edificio sia stregato e, durante la conversazione, abbiamo utilizzato una Tavola Ouija per contattare degli spiriti far loro rispondere a domande della nostra intervista. Abbiamo indossato un abbigliamento formale, parrucche e occhiali da sole. Le tende erano tirate per una buia seduta spiritica.

—Ross Simonini


 I. “IO SARO' LA TUA MAMMA”
 
THE BELIEVER: Stavo parlando con uno dei fattorini riguardo alle esperienze di alcuni ospiti dell’hotel, e mi ha parlato delle registrazioni di telecamere in cui c’erano oggetti che si muovevano da soli.
 

JAMES FRANCO: Oh sì.
 

CARTER: Camere di sorveglianza?

BLVR: Camere di sorveglianza.

JF: Ecco, devo dire che, mentre ero qui, per gli incontri con la stampa in occasione dell’uscita di Pineapple Express, stavo bene, ma poi entrai nella stanza e – non venisti a trovarmi? Era quella la notte!

C: Sì eravamo lì, all’angolo.

JF: Mi sentivo così depresso quella notte. Stava andando tutto bene -

C: E poi sono apparso io. [Ride]

JF: No, ma poi, quando te ne sei andato, mi sono sentito così male – al punto che chiamai Seth Rogen, e io non lo chiamo mai. Non mi rispondeva, e io stavo chiamando per un supporto, o non lo so, perché stavo veramente male. “Che sta succedendo?” Poi la mattina dopo scesi e chiesi “Si è mai lamentato nessuno sul fatto che questo posto sia stregato?” E io non sono nemmeno il tipo da credere a certe cose, ma quella mattina ero proprio convinto che il posto fosse infestato. E loro mi dissero, “Sì, c’è un cimitero sul retro.” L’hotel fu costruito su uno dei più antichi cimiteri di Manhattan.

C: Suona come se fossi posseduto.

JF: Ho anche un’altra storia di hotel infestati. Tu ne hai?

C: Non ho storie di hotel infestati, però, quando ero piccolo, scomparvi per qualche ora, e i miei erano terrorizzati. Era estate, e io uscii di casa – dovevo avere sette o otto anni – ero nel cortile, e mi ricordo che ero molto stanco. Non ho mai fatto sonnellini pomeridiani in vita mia, ma per qualche motivo, mi addormentai nel prato intorno a casa. I miei genitori mi cercarono per tre o quattro ore. Poi mi svegliai, ed ero proprio lì, vidi mia mamma che piangeva e mi disse, “Ma dove sei stato? Ti abbiamo cercato dappertutto!” E io dissi, “Ma ero qui.” Sono stato lì tutto il tempo. A quanto pare non riuscivano a trovarmi. È come se fossi mancato per un po’.

JF: Dove eri andato?

C: Non lo so. Magari lo sapessi!

BLVR: Chiediamo alla Tavola Ouija.

JF: E’ questo che chiederemo? Faremo la domanda alla tavola?

BLVR: Sì. Dov’eri andato?

JF: Ok. Allora, come si fa?

BLVR:
Dice che devi fare la domanda molto chiaramente.

C: Ok, glielo chiederò molto chiaramente.

C: Allora, mettete le mani lì.

JF: Tutte e due o una sola?

C: Tutte e due.

BLVR:
Credo entrambe, sì. Fatemi accendere una di queste – [Accende una candela]

JF: Ok, la faccio io la domanda. Dov’è andato Carter nel 1978 in quelle ore di quel pomeriggio? [Fa una pausa, poi sussurra] E ora che facciamo?

BLVR: Dobbiamo aspettare qualche minuto.

C:
[Sussurrando] Sì, ma se la tocchiamo con tanta forza…

JF:
[Sussurrando] Dobbiamo toccarla con delicatezza?

BLVR: [Sussurrando] Magari prima facciamole una domanda a cui risponderà con SI o NO.

C: C’è nessuno che ci può rispondere? Sì o no?

JF: [Sussurrando] Ma lo stiamo facendo correttamente? Perché la tavola si muove.

C: Oddio, si muove.

JF: La tavola si muove. Lo stiamo facendo bene?

C: No, la tavola si muove.

JF: Penso che dobbiamo bloccarla giù.

BLVR: Eh sì, avete del nastro?

C: Non stai premendo, vero? Perché se ci metti troppo peso, poi scivola.

BLVR: Devi essere molto delicato, credo.

JF:
Mettici un po’ di carta igienica sotto, ok?

BLVR: Così sarà disgustosa!

C:
Ok, proviamoci.

JF: Ma dobbiamo usare un solo dito?

BLVR: Credo che ognuno ne debba usare due.

JF: Ma ci sono le istruzioni? Qualcuno legga le istruzioni!

C: Io credo che bisogni fare ciò che si sente di fare.

BLVR: [Ride] C’è scritto così nelle istruzioni.

C:
Ok. C’è nessuno che possa rispondere alle nostre domande?

JF: E poi la tocchiamo con molta leggerezza.

BLVR: Non credo che funzioni…

C:
W?

JF: W. E.

BLVR: C’è una E?

C: H?

JF: H.

C: WEHS.

BLVR: U.

C: WEHSU. Ok, fai una domanda a Wehsu.

JF: Wehsu sta ascoltando. Va bene, rifaccio quella domanda e poi passiamo ad altro. Dove era andato Carter quando era piccolo in quel cortile nella metà degli anni ’70?

JF: I.

JF: B.

JF: R.

JF: Porca vacca. M. IBRM?

BLVR:
[Sempre muovendosi] IBRMUM.

JF:
Sarò la tua mamma! (I=I B=be R=your MUM=mum - ndJFI)


BLVR: Significa niente per te?

C: No.


II. MOLTO NOIOSO E CONCETTUALE

BLVR: Allora, qual era l’altra esperienza dell’hotel infestato?

JF: Ok, allora, mi stavo preparando per un film a New Orleans. Nicholas Cage era il regista, il film era Sonny. Ed eravamo lì a prepararci. Non avevamo ancora iniziato a girare. Nic aveva comprato una casa enorme. Lui viveva lì e lì girammo il film. Ma durante la preparazione stavamo in quest’hotel, il Bourbon Orleans, su Bourbon Street. Allo stesso tempo lui si stava preparando ad un altro film, Constantine, il cui ruolo, però, andò poi a Keanu Reeves. Era la storia di quest’uomo che parla ai morti... [Cage] sentì che quest’hotel era stregato e che una volta era stato un convento di suore. In particolare, c’erano due camera infestate. Così Nic stette in una di queste e voleva un incontro con lo spirito. E io dissi, “Fanculo, io voglio stare nell’altra”. La mia stanza era appartenuta ad una suora che poi si suicidò – si impiccò, credo. La presi durante il giorno. Era piccola, il letto occupava metà camera e poi c’erano un bagno e un armadio. Ci entrai, misi la borsa sul letto e tutto era assolutamente tranquillo. Poi, un minuto dopo, sento whoosh, come dell’acqua corrente nella vasca. Vado nel bagno e la vasca è piena fino all’orlo, ma non era così quando ero entrato. Sapevo di aver chiesto una camera infestata così dissi “Salve. Se ci sono spiriti qui, io sono con voi, non voglio farvi alcun male.” Poi controllai il rubinetto per vedere se fosse allentato, se l’acqua fosse sgorgata accidentalmente, ma non lo era. Poi pensai, oh, sarà una cosa per i turisti, tipo, hanno un interruttore che apre automaticamente il rubinetto. Ma non c’era niente. Allora feci un po’di domande alle cameriere; loro non sapevano proprio niente di quella camera, ma dissero, “Oh, c’è un soldato confederato che infesta i muri. E gli piacciono le bionde. Dà noia alle bionde.”

BLVR: Come sapevano che fosse un soldato confederato?

JF: Immagino che sia stato decapitato lì, o qualcosa del genere. O forse era stato visto da qualcuno. Comunque non successe più nulla del genere nella stanza, ma la cosa strana di New Orleans è che la gente di lì parla dei fantasmi in maniera diversa.

C: Come se fosse normale.

JF: Se vai in un ristorante, ti dicono, “Sì, questo posto è infestato. C’è un fantasma nella soffitta”…

BLVR: Bambole Voodoo in libertà.

C: Avevi paura in quella stanza?

JF: No, non direi. Mi ricordo che vidi un documentario su Heidi Fleiss in quella stanza.

C: Così, per sollevarti un po’ il morale.

JF:
Bè, perchè dovevo interpretare un gigolò.

C: Me lo ricordo. Era un buon film. Mi piacque.

BLVR:
Parliamo di Erased James Franco. Cosa volevi “cancellare” in quel film?

C: L’hai visto?

BLVR: No, non ne ho mai avuto modo.

C: Nessuno l’ha mai visto.

BLVR: Non so dove vederlo.

C: Non lo trovi in nessun posto in realtà.

JF: Lo presenterai di nuovo da qualche parte?

C:
Ora è a Vienna. Ma l’unico modo per vederlo è andare in una galleria d’arte o in un teatro.

JF: Non vuoi farlo uscire al cinema?

C: Credo che lo farò un giorno, perché molta gente me lo chiede, ma per ora è come uno dei film di Andy Warhol. Nessuno vede mai i film di Warhol. Ma tutti ne parlano.

BLVR:
Già, è l’idea del film che è importante.

C:
Perché la gente sa che questi film esistono, ma i più non ne hanno visti nemmeno la metà, a meno che tu non faccia una ricerca disperata. Molte persone credono di conoscerli bene, ma poi li guardano, e sono completamente diversi da come se li aspettavano.

C:
Credo che la tua domanda su Erased James Franco –

JF: Quel progetto mi ha cambiato.

C:
Te lo dico sempre che questo è il film per cui la gente ti ricorderà.

JF: Non credo sarà così. [Ride] Però, mi ha cambiato.

C:
Cinquant’anni di tempo. Segnati le mie parole.

BLVR: Cosa “cancelli”? I tuoi vecchi ruoli?

JF: Originariamente, penso che il “cancellare” venisse dalla primissima idea del progetto, che poi è cambiata un po’: doveva basarsi su Erased de Kooning di Rauschenberg, doveva essere una vera e propria performance cancellata. Io seduto su una sedia che eseguo un’intera performance nella mia testa, ma solo il 10 percento sarebbe emerso in superficie.

C:
Abbiamo fatto un test e, cazzo, era fantastico! Erano due piccoli screening test, che feci con la mia piccola videocamera – credo di averteli mandati. C’è James nel mio studio che fa quello che ha appena descritto – fa rivivere delle scene che aveva già interpretato, in film precedenti, ma non muovendosi affatto – né con il corpo, né con la voce. È grandioso, se ci penso, perché è di una noia mortale – non succede niente. Ma quando ne parli e sai cosa sta succedendo e lo guardi di nuovo, è esilarante.

BLVR:
Quindi l’idea era, allo stesso modo di Erased de Kooning, di mostrare residui delle precedenti performance di James?

C: Sì.
 

JF: Ma quello che Carter diceva – credo che poi da qui cambiarono un po’ le cose – era, “Concettualmente è davvero interessante”. Ma tu mi parlavi del fatto che volevi mostrarlo in una galleria, volevi che ci fossero delle persone a guardarlo interamente.

C:
Voglio che la gente si sieda e lo guardi.

JF: E io dissi, “A me sembra più un video che proietti su un muro e poi la gente ne guarda sì e no trenta secondi”

C:
Io non volevo che andasse così. Ancora adesso non lo voglio.

JF:
Bene, così iniziammo a pensarci. Ok, come lo sviluppiamo? Allora pensammo a una molteplicità di film, ma allo stesso tempo concentrandoci su specifici dettagli di quei film. Ad esempio, tu volevi porre l’accento su parti dell’interpretazione che normalmente non hanno una grande enfasi, come mangiare o bere.

C:
Rispondere al telefono. Camminare.

JF: Sì, parlare al telefono – azioni, gesti. Andare da una stanza all’altra, leggere, scrivere. Così hai guardato i miei film e hai cercato tutte quei gesti lì –

C: Tutte le parti noiose. Molto noiose e concettuali. Abbiamo sviluppato il progetto in questa direzione: prendendo solo le parti noiose.

JF: Però ci hai messo anche molte scene forti emotivamente.

C: Alcune, sì. Ma poi dovevamo tornare indietro per restare fedeli all’originale.

JF: Era come se il personaggio che interpretavo stesse soffrendo per una non meglio identificabile malattia. E se si volesse cercare un senso logico, bè, ne ha moltissimo, e mi sono reso conto che c’è un legame tra tutti i film che ho fatto. Mettendoli in una visione d’insieme ci sono delle situazioni che ricorrono. Ho fatto molti in film in cui il mio personaggio aveva dei problemi con suo padre o difficoltà nell’essere creativo, cose del genere. Carter mi disse che avrei dovuto lasciare che solo il 10 percento dell’interpretazione venisse in superficie. Lo descrisse in questo modo: devi fare una buona performance – come se stessi cercando di dare la tua migliore interpretazione –

C: Però, allo stesso tempo, non ti è permesso.

JF:
Così sembrava che il personaggio fosse sotto l’effetto di droghe o comunque leggermente fuori di sé. Ma siccome sapevamo di star facendo rivivere film che avevo già fatto, il mio personaggio era ben consapevole che si trattasse di recitazione; era una ri-creazione, e lo sapevamo, ma il personaggio era lo stesso partecipe di se stesso in ogni momento. Così, grazie a quella consapevolezza, è stato possibile ridare vita a quelle che altrimenti sarebbero considerate situazioni-tipo, cliché. Quanti film abbiamo visto, in cui il figlio dice “Papà, tu non mi capisci!” Ma se il personaggio è cosciente di interpretare un scena che è uno stereotipo, allora il risultato è diverso.



III. LA MERDA VIENE TAGLIATA

BLVR: Molti artisti parlano dell’arte come una forma di comunicazione. Penso che la maggior parte degli artisti, soprattutto quando invecchiano, arrivano ad un punto in cui pensano che stia accadendo qualcosa indipendentemente da se stessi. Così, utilizzando la metafora del fantasma, mi chiedo se ci hai mai pensato. Se c’è questa sorta di possessione nel tuo lavoro.

C: Tipo, se segue una certa direzione autonomamente? Credo che ogni arte sia diversa. Ci sono così tanti tipi di arte. Puoi fare la stessa domanda ad altri artisti, ma non saprebbero di cosa tu stia parlando – non sono interessati a questo genere di cose. Ma io lo sono. Lo avverto. Penso che ci sia sempre stato questo unico lungo filo rosso a collegare i miei lavori, che si trattasse di pittura, disegno, cinema o scultura. Tutto è molto correlato. Di cosa sia fatto quel filo non lo so. Potrei avere qualche idea, ma è un’indagine che condurrò per il resto della mia vita.

JF: In Maladies si parla un po’ di questo, no? Discussioni sui predecessori e su Melville, e poi mi hai dato quel –

C: Quello schizzo?

JF: Mi hai dato quello schizzo e mi hai detto, “Il tuo personaggio è questo, questa grossa balena.”

C: Sì, credo che quella dritta fosse molto d’aiuto.

JF:
Lo era.

BLVR: Sentivi di dover portare la sua interpretazione in una direzione diversa da quella in cui stava procedendo?

C:
No, non direi quello. Sentivo che in parte era colpa mia. Non sono molto chiaro quando dirigo qualcuno.

JF: Quindi hai pensato di dirmi che dovevo essere una balena, per chiarire le cose? [Ride]

C: Sì, pensavo che avrebbe funzionato. Che ci sarebbe stata più carne al fuoco.

BLVR:
C’è un modo per capire meglio la storia della balena?

C: All’inizio il personaggio doveva avere un malessere sconosciuto. Non ti ho mai detto quale fosse, non lo sapevo nemmeno io, e non lo so ancora, ma sapevo che era un insieme di disagi mentali che confluivano in un’unica malattia, manifestata dal tuo personaggio nel film. E questo è quello che tu hai fatto emergere.

JF: Giusto. Ma quando mi hai detto “tu sei una balena”, ho pensato che il personaggio dovesse avere un mondo di cose dentro di sé, che dovesse viaggiare con la mente, ma nessuno lo avrebbe mai capito davvero. Allora capii. Sta cercando di comunicare. La sua arte è un modo per comunicare, è solo che nessuno capisce cosa voglia dire.

C:
Esatto. C’è come una specie di foschia quando si tratta di provare a comunicare con altre persone.

JF: E’ assurdo quanto tempo ci abbiamo messo per sviluppare quell’idea. Ti ricordi, ne abbiamo parlato appena dopo Erased James Franco, e per un po’ lo chiamammo Gay Rapist (stupratore gay - ndJFI).

C: No, lo chiamammo GR, perchè non volevamo offendere nessuno.

JF:
Perché Gawker aveva fatto questo articolo su di me, dicendo che ero uno stupratore gay. In realtà già agli inizi avevamo un sacco di idee per il progetto. Doveva riguardare due artisti di tipo diverso. E così cominciammo a parlare di soap-opera. Per questo feci General Hospital, perché stavamo lavorando a Maladies, così pensammo che il personaggio potesse essere un attore di soap. E poi tu mi dicesti, “E se recitassi per davvero in una soap-opera?”

BLVR:
Come preparazione per il ruolo?

JF:
No, era solo un’idea all’epoca.

C:
Sì, però poi l’hai fatto.

JF: Poi mi venne in mente che il mio manager rappresenta anche Steve Burton, la più grande star della soap-opera di General Hospital. Forse potrei partecipare a una soap-opera. E per loro fu una grande idea!

BLVR:
E lo farai di nuovo, no?

JF: Sì sì, tornerò. Ho grandi piani al riguardo.

BLVR: Il personaggio di Franco in General Hospital è frutto di una collaborazione tra voi due?

C: No, io non ho niente a che fare. Ci fu solo una conversazione che poi virò su – credo che a un certo punto tu domandasti del ruolo?

JF:
Sì! Tu mi hai aiutato, ne parlammo, “Che ruolo dovrebbe essere?” E poi venne fuori che il personaggio di GR doveva essere un po’ folle, così dissi loro, “Facciamolo essere un artista un po’ pazzo.”

C: E loro furono d’accordo.

JF:
E poi abbiamo utilizzato il personaggio della soap-opera. Abbiamo preso episodi di General Hospital nella TV in Maladies. Giusto?

C:
Per un secondo. Ma era dura, perché Maladies è ambientato all’inizio degli anni ’60. Lo stile di General Hospital è ovviamente molto contemporaneo, così abbiamo preso dei pezzi che non sembrassero girati quest’anno. Credo che ci siamo riusciti. Ma mi piacciono i salti nel tempo. Il film è ambientato negli anni ’60, ma c’è un riferimento ad un vero personaggio contemporaneo.

BLVR: Così, dall’esterno, sembrerebbe che voi lavoriate su diversi livelli, ma suona tutto così accidentale, casuale, dal modo in cui ne parlate.

JF:
No, credo che con questi progetti il processo sia, “Oh, ecco un’idea. Proviamo a lavorarci su.” Il progetto intero così si costruisce sulla base di queste idee che si susseguono una dopo l’altra.

C:
Se ti viene un’idea, non è detto che poi la metterai in pratica al 100 percento. Ne resta una traccia. Per Maladies è andata così. E’ un’insieme di tutte le idee che ci sono venute in mente. In ogni dettaglio c’è una traccia di tutti quegli appunti, anche se non sembra qualcosa di pianificato.

JF:
Quando ero sul set di General Hospital, mi sei venuto a trovare una volta e abbiamo girato qualcosa lì. Praticamente ho fatto una scena di Gena Rowlands in –

C:
Una donna. (A Woman Under The Influence)

JF:
Ma non potemmo usarla perché cambiò la sceneggiatura. Ma perchè cambiò?

C:
Ma che cazzo ne so ormai? La merda viene tagliata. La merda viene tagliata! Devi essere realistico. Vuoi riuscire a superare te stesso per un secondo e vuoi davvero che la gente si sieda in una sala e guardi quello che hai fatto. Bisogna essere realistici e ridurre il film a un’ora e mezza.

JF:
Perché hai voluto che fosse così?

C:
Così come?

JF: Perché hai voluto che fosse un prodotto cinematografico, per cui la gente avrebbe comprato dei biglietti, piuttosto che renderlo un prodotto artistico da mettere in un museo?

C:
Perché, prima di tutto, fare un film vero e proprio che la gente guarderà è una sfida. E’ davvero, davvero dura. Così è stata una sfida per me. In secondo luogo, volevo un pubblico. Voglio più persone che riescano a vederlo, ma un pubblico che veda qualcosa che rappresenti una sfida anche per loro.

BLVR:
Quando dici “sfida”, che vuoi dire?

C:
Bè, la storia non è proprio –

BLVR:
Lineare?

C: No, direi che lo è. Perché abbiamo lavorato tanto a che lo fosse. Davvero tanto. La sfida per il pubblico è sedersi e guardare qualcosa di più vasto e ampio.

BLVR:
Ecco, volevo chiedervi di questo spartiacque (tra arte e cinema - ndr.). Entrambi ci state arrivando con approcci diversi, l’uno con l’arte, l’altro con il cinema. Mi chiedo se ci sia una linea immaginaria, anche solo nelle vostre teste, tra fare arte e fare quello che chiamate “intrattenimento”. E da come ne parlate, sembra che vi stiate spingendo verso l’intrattenimento.

C: Bè, qualsiasi arte è per intrattenere le persone, se vuoi mostrare loro le tue opere, che sia in un museo o al cinema. C’è sempre un livello di intrattenimento. Voglio dire, deve esserci. Ma certamente, se ad un capo del filo hai Erased James Franco, hai qualcos’altro all’altro capo, che è Maladies.

JF:
Come dice Carter, deve sempre esserci un po’ di intrattenimento. Io, ad esempio, cerco sempre qualcosa che mi intrighi. Anche se vuoi fare dell’arte noiosa. C’è sempre qualcosa di interessante nei film noiosi di Andy Worhol. Pensi lo stesso, “Oh, è grandioso.” Concettualmente è eccitante. E molta dell’arte che faccio io deriva dal cinema, solo che io non cerco di vendere biglietti con i miei lavori. Per me questa è una delle grandi differenze – il modo in cui l’opera è distribuita e vista e poi rientra nelle spese. Nei film c’è più responsabilità nell’intrattenere. E’ diverso se la gente deve pagare un biglietto. Puoi creare un “film artistico”, ma devi prepararli a ciò che vedranno. Quando abbiamo presentato Erased James Franco al MoMA, è stato perfetto, perché era in un teatro, ma era sempre il MoMA, quindi andava bene se non aveva una struttura narrativa tradizionale. Il pubblico non era lì per vedere Lo Squalo.

BLVR:
Giusto, il contesto è –

JF: Molto di ciò che faccio nel mondo dell’arte è fotografia o video o film che hanno anche una struttura narrativa, ma è un modo per dire delle cose e rompere le regole – rompere le regole della narrativa, sfatare il mito che l’arte dev’essere esteticamente bella. Ci si può concentrare di più sul concetto, e puoi lavorare in modo da girare dei video che non siano necessariamente belli, e forse è proprio questo il punto. Invece se dirigo un film che sarà proiettato nei cinema, voglio che gli aspetti tecnici siano di un certo livello. Ho girato due film da quando sono alla NYU, uno basato su un poeta, Hart Crane, e uno sull’attore Sal Mineo. So che non saranno mai dei blockbuster, ma li abbiamo fatti ad un prezzo responsabile, in modo che non costassero eccessivamente. Sono entrambi “in costume” – Hart Crane è vissuto nella New York degli anni ’20 – ma ci sono molti edifici qui che risalgono a quel periodo, o anche prima, così è lì che abbiamo girato. Ed è fantastico.

BLVR:
Così vorresti dire che la principale differenza tra i due ambiti è il denaro impiegato.

JF:
È una delle differenze. Credo che una delle cose su cui devi riflettere sia che la gente pensa, “Oh, quasi tutti i film commerciali sono stupidi, sempre e ogni volta le stesse storie.” Ed è vero. A volte per mancanza di immaginazione, altre volte perché sono stati investiti così tanti soldi che poi vogliono rientrare nelle spese, così vanno sul sicuro. Ripropongono ciò che ha già funzionato. Ecco perché uno come Danny Boyle – che certamente fa film d’intrattenimento, ma gli piace fare film che stimolino lo spettatore – non accetta film da centinaia di migliaia di dollari. Fa film da venti milioni, anche se potrebbe benissimo dirigere i più grossi film in circolazione, ma vuole sempre avere un certo margine di libertà per fare film più rischiosi.

C:
Anche venti non è poco.

BLVR: Hai sentito quel tipo di pressione per Maladies?

C:
Vuoi dire inserirci qualcosa per fare soldi? No. Sono stato molto fortunato, ho avuto intorno a me persone che supportavano il progetto e che volevano le stesse cose che volevo io. Davvero, molto fortunato. Non so cosa succederà con Maladies, ma se siamo fortunati, la gente andrà a vederlo, e riavremo indietro i soldi.

 

IV. DIALOGO, DIALOGO, BATTUTA FINALE

BLVR: Come arriva l’idea di Three’s Company?

JF: Io voglio fare una domanda a questo coso, però.

C: Ouija?

BLVR: La stiamo trascurando.

JF: Gli possiamo fare una domanda su John Ritter?

C: Prima di tutto dovremmo ringraziarlo per essere un grande attore e incredibilmente divertente in Three’s Company. Grazie John Ritter.

JF, C, BLVR: Grazie, John Ritter.

JF: OK, ne ho una. John, sei andato a letto con Suzanne Somers? [Pausa]

C:
Oh, dirà “no.”

JF: No! Porca vacca! Ok.

C: Ok, vediamo se è andato a letto con Don Knotts.

JF: [Ride] Ok.

C:
OK, John, con tutto il rispetto dovuto, sei andato a letto con Don Knotts? È attraente, in fondo. [Pausa]

JF: Credo che dirà “no.”

BLVR: John non aveva una vita sessuale molto attiva.

JF: John, eri soddisfatto come attore? [Pausa]

JF:
Amico, non la sto neanche toccando!

BLVR:
Nemmeno io.

C:
Sì.

JF: Sì!

BLVR: Buono a sapersi.

JF: Ok, John è uno spirito simpatico… comunque, in qualche modo ci venne l’idea, “E se Three’s Company fosse un film”? E poi, “E se prendessimo solo tre episodi e li mettessimo insieme, e li rifacessimo, facendoli durare un’ora e mezza?” L’idea ci venne in macchina. Poi l’estate scorsa ero a Vancouver, per una sezione chiamata Sundance New Frontier e mi chiesero se volessi portare qualcosa. Abbiamo fatto due cose. Abbiamo usato i primi sei episodi – forse fanno ancora così, non lo so – la prima fu una stagione super abbreviata, giusto per vedere se funzionasse, così fecero solo sei episodi. Il primo è quello in cui organizzano una festa perché la loro vecchia coinquilina, che non si vede mai, si è sposata e li sta lasciando, e hanno bisogno di una nuova coinquilina, così le fanno una festa di addio. Poi il mattino dopo, vanno in bagno, in pieno hangover e trovano Jack. Allora dicono [in falsetto], “Tu chi sei?” E Jack, “Che succede? Mi sono addormentato in bagno” E loro, “Ok, fuori di qui” E lui di nuovo, “Ok, ma vi preparo la colazione per ringraziarvi”, qualcosa del genere. Allora va e prepara la colazione, fa tipo lo chef.

C:
Oh, è vero, è uno chef.

JF:
Sì, fa la scuola di cucina. E poi dicono, “Wow, sei proprio un bravo cuoco – magari fossi il nostro coinquilino.” Ma penso che fosse il periodo in cui non era permesso che un uomo condividesse la casa con delle donne. Ma a loro non piaceva nessun altra che avevano incontrato così gli propongono, “Ok, ho un’idea. Fingi di essere gay, così puoi stare con noi.” Poi ci sono queste orribili e antiche battute sui gay che fa Mr. Roper. Non fanno ridere per niente. Davvero brutte. Quindi questi furono i sei episodi che stabilirono il format dello show e Larry non c’era nemmeno ancora, così abbiamo preso quelle sei puntate e le abbiamo proiettate sul grande schermo alla NUY e abbiamo ripreso con quattro videocamere, così che fosse una specie di documentario. Una camera seguiva un personaggio, un’altra l’altro personaggio, una girava tutt’intorno alla location e l’altra si soffermava su bizzarre inquadrature del cinto pelvico. Poi abbiamo preso tutta quella roba e abbiamo ri-registrato i dialoghi. Io facevo Jack e Mrs. Roper, e qualcun altro faceva Chrissy, poi abbiamo reso più intense le voci e trasformato il tutto in un dramma. Perché quella era l’idea, reinterpretarlo in chiave drammatica.

C:
Con le stesse battute, ma non era più comico.

JF:
Non è stato affatto facile, perchè ti rendi conto che lo show è organizzato in questo modo: dialogo, dialogo, battuta finale. Dialogo, dialogo, battuta finale. È tutto così. Quindi è difficile fare qualcosa di diverso da quel sistema, ma l’abbiamo fatto. E abbiamo pensato, “Forse possiamo fare un altro video, prendendo tre episodi dal punto clou della serie, appena prima che Susanne Somers inizi a litigare per il suo contratto.” Io credo che la quarta stagione sia la migliore. Larry era in piena forma. Susanne era ancora lì. Così abbiamo preso tre episodi importanti dello show e filmati in un hotel di Vancouver, perché, stranamente, somigliava al loro set. L’idea era di creare un’installazione. “Costruiremo uno spazio al Sundance come il salotto della serie, perché è là che si svolge la maggior parte della vicenda.” Quando andava in onda lo show, nessuno aveva internet, così la maggior parte delle persone sedeva con la famiglia e guardava la serie nei loro salotti, guardava questi personaggi, a loro volta nel loro salotto. Era una specie di strano specchio. Così abbiamo pensato, “Mettiamo uno specchio nello schermo, così il pubblico si siederà nel salotto e guarderà lo spettacolo. Così l’abbiamo proiettato su quattro pareti e il pubblico sedeva in mezzo ai personaggi. Non si è trattato di una semplice proiezione su quattro muri – perché abbiamo filmato diversi personaggi, Chrissy su un lato, Janet sull’altro e il pubblico era davvero al centro del set. Credo che abbia funzionato piuttosto bene, lo presenteremo anche al Terence Koh’s Asia Song Society.

BLVR:
Voi due come vi siete incontrati?

C:
Attraverso l’arte. Attraverso la pittura.

JF:
Sì, ho comprato uno dei dipinti di Carter. Venni a vedere il tuo studio. E poi, subito dopo –

C: Erased James Franco.

JF: Già. Mi chiedesti se volessi fare il film con te.

C: Mi ricordo che ti incontrai e ti chiesi se volessi far parte del progetto e ricordo che pensai, “Questo ora crederà che sono malato.” Mi ricordo che entrasti e parlavi a voce molto alta. Eri seduto vicino a me e parlavi a voce altissima.

JF: Oh, ma per favore!

C: Ricordo che pensai, “Ma perché urla così?” Ci pensai anche il giorno dopo ed ero convinto che in realtà fosse andata abbastanza bene. “Ha avuto la mia attenzione e io lo ascoltavo. Ma perché parlava a voce così alta? Ci dev’essere qualcosa che non so.” Allora iniziai a farlo anch’io con le altre persone, e funzionava piuttosto bene. Parli così: [ad alta voce] “OK, ALLORA, USEREMO LA TAVOLA OUIJA, E LE FAREMO DIRE QUALCOSA. POI CI LAVORIAMO SU.”

JF:
Non è vero. Non è da me! Ma davvero facevo così? Nel tuo studio?

C: Nel mio studio.

JF: Wow.

BLVR: Compri molte opera d’arte?

JF: Una volta sì, ma ora non più, perché vado a scuola. Lavoro meno e devo spendere i miei soldi per la scuola e per i beni di prima necessità.

BLVR: Che tipo di arte compravi?

JF: Richard Prince, Ed Ruscha. Ho un Chris Burden. Un Glenn Ligon, e un paio di Carter.

BLVR:
Quindi, lavorate entrambi in molti campi, ma ciò che è interessante è che, nella tua posizione, James, la gente è sorpresa di sentire che sei interessato all’arte, alla scrittura e dell’idea che sia possibile avere successo e appagamento artistico facendo un sacco di cose diverse. Invece io penso che nel mondo dell’arte questa cosa vada avanti da tempo. Voglio dire, c’erano un sacco di artisti negli anni ’70 che facevano sia dipinti, sia video, sia scultura, ma oggi, in generale, c’è un po’ di resistenza all’idea che una persona possa essere tante cose diverse.

JF: Ecco, io penso che le critiche vengano da entrambe le parti, almeno inizialmente. Poi la gente si abitua. Le persone a cui tengo, o certe gallerie mostreranno i miei lavori, quindi cosa me ne frega se a Gawker o a Perez Hilton non piacciono? Io vengo dal mondo del cinema, il che attira l’attenzione di tutti questi blog da quattro soldi che vedranno la situazione solo ad un livello superficiale; non faranno il minimo sforzo per andare a fondo e indagare su ciò che davvero sto cercando di fare, o il fatto che stia frequentando la Rhode Island School of Design e ho il livello di preparazione di qualsiasi artista qualificato. Certo non puoi dire che stia facendo un secondo lavoro a nero o approfittando del fatto che sia una celebrità. Ho studiato e sto lavorando sodo. Ma queste persone commentano ad un livello superficiale delle cose e non faranno nessuno sforzo. Poi ci saranno anche persone del mondo dell’arte che pensano, “Ma che cazzo ci fa qui questo?” Quindi ne sento tante da entrambi gli ambiti. Non lo sto facendo per fare più soldi, non lo sto facendo per la carriera. Lo sto facendo perché è l’unico modo per fare delle cose che davvero voglio fare. E poi, tra un po’ di tempo non sarò più l’attore che sta cercando di essere chissà che – si abitueranno. Penso che la mia tesi sarà su questo. Il modo in cui le diverse discipline possono confluire l’una nell’altra e cosa possono diventare, come possono tradursi, quali sono i limiti, qual è il risultato delle fusioni. C’è una tradizione di ecfrasi, anche gli stessi adattamenti cinematografici di libri, quindi, in qualche modo, c’è una lunga tradizione. Oggi abbiamo così tante fonti da cui trarre qualsiasi cosa. Mi interessano le opere che sono il risultato della fusione di diverse forme d’arte e discipline. Per me, questa è una delle cose fruttuose della collaborazione con Carter. Maladies è un film, ma riguarda lo scrivere romanzi, il recitare – non solo perché degli attori interpretano i personaggi, ma perché uno dei personaggi è un attore – e la pittura. Mi interessa come tutte queste cose possano unirsi a vicenda e completarsi.

BLVR:
O forse smentirsi a vicenda, anche.

JF:
Sì! Certamente. Certo. E ci sono degli ambiti in cui alcune sono più adatte di altre. I film saranno sempre più forti visivamente – le immagini molto più fervide di quanto chiunque possa scrivere in un romanzo, ma in un romanzo puoi sempre offrire spunti di immaginazione diversi, invece in un film è più difficile, perché le immagini sono più concrete. La poesia non avrà mai una narrativa migliore di quella di un romanzo, ma ha momenti lirici che non trovi nei romanzi. Mi piace andare alla ricerca di queste differenze.
 

C: Martin Mull— l’attore di Roseanne? Sai, era un pittore.



Intervista pubblicata su believermag
Traduzione di Chiara Fasano per JAMESFRANCOITALIA

7 commenti:

  1. Grazie mille per la traduzione di questa bellissima intervista.Mi ci è voluto un pò per leggerla ma ne è valsa la pena.Mi sono talmente immedesimata in quello che leggevo che sembrava anche a me di stare li...=)Più passa il tempo e più mi rendo conto che questo ragazzo è davvero unico e speciale. E' una persona molto molto umile e umanaper niente superficiale.Non vive di lussi inutili...In questa intervista ci sono tanti passaggi importanti ma la parte in cui dice "Lavoro meno e devo spendere i miei soldi per la scuola e per i beni di prima necessità"penso sia bellissimo davvero.Sono davvero orgogliosa di seguirlo ed essere una sua fan.Non potevo scegliere di meglio!=)

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  2. Condivido tutto ciò che hai detto Marianna :D

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  3. Non posso non essere daccordo...
    Un passaggio che mi ha fatto ridere? Quello sul suo tono di voce. E' vero che urla quando è troppo entusiasta ahahah

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  4. Verissimo!! E' inutile che neghi, caro il mio James! XD

    A me ha fatto ridere quando cercano di far funzionare la benedetta tavola Oujia, ma non ci riescono.
    E poi ho adorato quando, verso la fine, James si lancia in una delle sue discussioni sull'arte che ti fanno sentire piccola e stupida. E' sempre una sfida tradurre quello che dice perché devi proprio entrare nella sua testa per sviscerare i suoi pensieri che all'apparenza possono apparire contorti, ma in realtà sono chiarissimi e affascinanti. Ti ci perdi dentro e non puoi non adorarlo quando dice certe cose!
    Mi è venuta una voglia assurda di vedere Erased James Franco! CARTER, COSA ASPETTI ANCORA?? FALLO USCIRE AL CINEMA!!!

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  5. Ahahah anche a me ha fatto ridere quel passaggio Sonny.=)Questa è stata un intervista davvero particolare mi ha colpito molto.Complimenti per la traduzione Chiara sono sicura che non dev'essere facile interpretare ciò che dice però ci sei riuscita benissimo.Io mi ci sono proprio immersa dentro come se fossi li con loro!

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  6. Grazie Marianna, non sai quanto mi fa piacere!

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  7. Di niente Chiara...te li meriti tutti i complimenti!=)

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