Gregg Barrios di Los Angeles Review of Book incontra James Franco in occasione dell'uscita di "Strongest of The Litter", la sua prima raccolta di poesie appena pubblicata da The Hollyridge Press. Il risultato è una splendida intervista su letteratura e scrittura, tradotta in esclusiva per voi da James Franco Italia.
GB: Nel tuo racconto di Palo Alto: Stories "Rainbow Goblins", Teddy, il protagonista, fa servizi sociali in una biblioteca per l'infanzia. Così dà vita a una valanga di ricordi mentre legge (rilegge?) classici per l'infanzia come The Rainbow Goblins, The Very Hungry Caterpillar, Where the Wild Things Grow ecc. Qual è stata la tua prima esperienza con la letteratura da bambino?
JF: Da bambino leggevo molto. Credo che molti di quei libri che leggevo all'epoca sono stati importantissimi per la creazione del mio mondo dell'immaginazione. Quando ero molto piccolo ricordo che The Berenstain Bears, Doctor Seuss, Maurice Sendak, Runaway Bunny, The Velveteen Rabbit e soprattutto i libri di Bill Peet hanno avuto una grande influenza. Quando ero un po' più grande mio padre mi leggeva pagine da Lo Hobbit e quella è stata la prima grande incursione nel mondo del fantasy per me: mi sono immerso in tutti i libri del Mago di Oz di L. Frank Baum e nella serie di cinque romanzi di Lloyd Alexander Chronicles of Prydain. E ovviamente Il Signore degli Anelli e i libri su Alice di Carrol. Dopo sono passato a storie più realistiche, ma da piccolo ero un appassionato del fantasy.
GB: Ho saputo solo di recente che Betsy Franco, che scrive letteratura per l'infanzia (più di 50 libri all'attivo) è tua madre. Ho utilizzato la sua antologia di poesie per adolescenti (You Hear Me?) per i giovani poeti del Carcere Minorile di San Antonio, per aiutarli a sviluppare i loro talenti per la poesia. Tua mamma come ha influenzato le tue letture?
JF: E' fantastico che tu abbia usato il libro di mia madre. I miei genitori hanno iniziato come pittori; si sono conosciuti in un corso di pittura a Stanford. Quando sono nato, entrambi hanno lasciato e mia madre ha cominciato a scrivere. Ha sempre scritto, durante tutta la mia vita, quindi non posso non pensare che non abbia avuto alcuna influenza su di me. Quando ero piccolo mi mostrava le bozze del suo lavoro per avere il punto di vista di un ragazzino. La scrittura è sempre stata dentro di me dal primo momento. Provavo a scrivere già da molto giovane. Mi ricordo di uno strano libro che chiamai Deep Down, e un racconto sul suicidio. Bizzarro davvero.
Ora io e mia madre siamo sulla stessa lunghezza d'onda. Lei si sta lanciando nella recitazione e io mi sto concentrando sulla scrittura. Lei ha scritto un romanzo per giovani adulti che parla di studenti di liceo e anch'io ne ho scritto uno su ragazzi che vanno a scuola. Lei sta lavorando con ragazzi che fanno parte di una compagnia teatrale e io con studenti universitari che fanno teatro. Lei ha composto diverse antologie di poesie per ragazzi e io insegno scrittura creativa.
All'inizio non volevo che mia madre leggesse il mio lavoro, credo fermamente che l'approvazione genitoriale non può essere preso in considerazione da un artista. Ma quando mia madre legge le mie cose, penso a lei come un buon lettore, più che come mia madre. Non mi vergogno più, non mi imbarazza più quello che le do da leggere; lo so che mi considera un autore e non suo figlio quando legge i miei lavori.
JF: Da bambino leggevo molto. Credo che molti di quei libri che leggevo all'epoca sono stati importantissimi per la creazione del mio mondo dell'immaginazione. Quando ero molto piccolo ricordo che The Berenstain Bears, Doctor Seuss, Maurice Sendak, Runaway Bunny, The Velveteen Rabbit e soprattutto i libri di Bill Peet hanno avuto una grande influenza. Quando ero un po' più grande mio padre mi leggeva pagine da Lo Hobbit e quella è stata la prima grande incursione nel mondo del fantasy per me: mi sono immerso in tutti i libri del Mago di Oz di L. Frank Baum e nella serie di cinque romanzi di Lloyd Alexander Chronicles of Prydain. E ovviamente Il Signore degli Anelli e i libri su Alice di Carrol. Dopo sono passato a storie più realistiche, ma da piccolo ero un appassionato del fantasy.
GB: Ho saputo solo di recente che Betsy Franco, che scrive letteratura per l'infanzia (più di 50 libri all'attivo) è tua madre. Ho utilizzato la sua antologia di poesie per adolescenti (You Hear Me?) per i giovani poeti del Carcere Minorile di San Antonio, per aiutarli a sviluppare i loro talenti per la poesia. Tua mamma come ha influenzato le tue letture?
JF: E' fantastico che tu abbia usato il libro di mia madre. I miei genitori hanno iniziato come pittori; si sono conosciuti in un corso di pittura a Stanford. Quando sono nato, entrambi hanno lasciato e mia madre ha cominciato a scrivere. Ha sempre scritto, durante tutta la mia vita, quindi non posso non pensare che non abbia avuto alcuna influenza su di me. Quando ero piccolo mi mostrava le bozze del suo lavoro per avere il punto di vista di un ragazzino. La scrittura è sempre stata dentro di me dal primo momento. Provavo a scrivere già da molto giovane. Mi ricordo di uno strano libro che chiamai Deep Down, e un racconto sul suicidio. Bizzarro davvero.
Ora io e mia madre siamo sulla stessa lunghezza d'onda. Lei si sta lanciando nella recitazione e io mi sto concentrando sulla scrittura. Lei ha scritto un romanzo per giovani adulti che parla di studenti di liceo e anch'io ne ho scritto uno su ragazzi che vanno a scuola. Lei sta lavorando con ragazzi che fanno parte di una compagnia teatrale e io con studenti universitari che fanno teatro. Lei ha composto diverse antologie di poesie per ragazzi e io insegno scrittura creativa.
All'inizio non volevo che mia madre leggesse il mio lavoro, credo fermamente che l'approvazione genitoriale non può essere preso in considerazione da un artista. Ma quando mia madre legge le mie cose, penso a lei come un buon lettore, più che come mia madre. Non mi vergogno più, non mi imbarazza più quello che le do da leggere; lo so che mi considera un autore e non suo figlio quando legge i miei lavori.
GB: Per Metamorphosis: Junior Year, l'adattamento in chiave moderna che tua madre ha fatto di Ovidio, tuo fratello Tom ha fatto le illustrazioni e tuo fratello Dave l'ha letto per la versione audio. In più è stata fatta una versione per il teatro a Palo Alto. Non è difficile capire come una famiglia di artisti ti abbia influenzato. Quando hai girato The Broken Tower, il tuo film su Hart Crane, di nuovo hai impiegato la tua famiglia nel cast. Da dov'è nata questa collaborazione familiare?
JF: Io e miei fratelli siamo sempre stati incoraggiati a usare la nostra creatività. Tom ha sempre disegnato e realizzato sculture da che io ricordi. Mio fratello amava la televisione e i film da quando era un bambino. Quando ho iniziato a recitare ho visto che era possibile far parte di quegli show che lui tanto amava. Ho dovuto faticare all'inizio quando provavo a dire che uno può guadagnarsi da vivere con la creatività, ma quando ce l'ho fatta, mi hanno sempre incoraggiato. Ora possiamo lavorare tutti insieme perché ci vogliamo bene e possiamo utilizzare le nostre reali relazioni nel nostro lavoro. Mio fratello Dave ha cercato di distaccarsi da me perché stava diventando "il fratello di James Franco", ma lo so che alla fine lo chiamerò sempre per coinvolgerlo nei miei progetti.
GB: All'inizio di The Broken Tower, c'è una citazione di Crane sull'ars poetica che dice più o meno così:
Le motivazioni del poema devono derivare dalle implicite dinamiche emotive del materiale utilizzato, e i termini espressivi impiegati sono selezionati non tanto per il loro significato logico (letterale), quanto per l'associazione dei significati. La lingua ha costruito torri e ponti, ma sarà sempre in sé inevitabilmente fluida.
Quanto questa dichiarazione è vicina alla tua idea di poesia? Quell'epigrafe è più vicina all'intento del tuo film più che alla raccolta stessa?
JF: Molto bene, sì, l'epigrafe è un modo per stabilire il mio approccio a Crane e al suo lavoro in forma cinematografica. Volevo che il film riflettesse l'opera di Crane, sia nel contenuto che nella forma. Sapevo che la ricezione di Crane da parte della critica fu quasi inesistente quando era in vita, anzi fu molto criticato sulla stampa da parte dei suoi stessi amici Alan Tate e Yvor Winters. Il film è stato la mia tesi per la NYU e durante l'intero processo mi è stato detto di utilizzare una struttura più convenzionale. Ma io ho sempre opposto resistenza. Volevo che il film avesse quella struttura episodica e incostante propria della sua poesia.
Ho usato il libro di Paul Mariani The Broken Tower come guida; ma invece di provare a mostrare chiaramente le motivazioni dietro alle azioni di Crane, ho voluto evidenziare i momenti più importanti della sua vita e metterli in contrasto, giustapponendoli, piuttosto che percorrere linearmente le ascese e le cadute. Le sezioni del film dovevano scontrarsi l'una con l'altra allo stesso modo in cui Crane sperava che le sue metafore scontrassero. Sapevo bene di non ottenere un successo commerciale con questo approccio (e soggetto) né di critica, perché i critici di cinema in genere sono ottusi quando si tratta di poesia e vogliono sempre essere portati per mano attraverso questi soggetti con la più lucida narrativa. Sapevo anche che le uniche persone ad aver capito davvero Crane erano probabilmente altri poeti e i suoi studiosi e questi avrebbero voluto un film che parlasse della vita di Crane nel modo in cui l'avrebbero compresa. Ho fatto film di successo al box office e in film che hanno vinto diversi Oscar, non mi interessava fare questo film per avere successo di pubblico o di critica. Avevo solo una cosa a cui essere leale: Crane e il modo in cui vedo e leggo la sua opera.
Il mio libro di poesie, Strongest of the Litter, è scritto in maniera molto diversa dall'intera opera di Crane. Io uso molto discorsi semplici e personificazioni. Cerco di usare le personificazioni per evocare i ritmi del discorso contemporaneo e trovare in quello la poesia. Sono molto interessato alle maschere e al ventriloquismo. Mi mantengo facendo l'attore da dieci anni e mezzo ormai, quindi sono abituato a cucirmi addosso ruoli diversi; la poesia funziona in modo simile.
GB: Il titolo del libro, Strongest of the Litter: Jack London o Charles Darwin? Come sei arrivato a scegliere quel titolo?
JF: Il titolo viene dall'ultimo verso della poesia inclusa nella raccolta che si chiama "Seventh Grade". In quel contesto è ironico, perché descrive un cucciolo di topo che copula con sua madre perché ha dominato su tutti gli altri topi e perché ha l'istinto naturale di procreare. È un modo per mostrare la natura non ragionata di alcuni processi che seguiamo e la violenza e la sessualità dentro di noi. È un'immagine giustapposta ad altre immagini di violenza e paura in una scuola media, come a dire che nel periodo della vita in cui un adolescente sta crescendo, spesso si spinge ad azioni estreme perché sta solo tentando di sopravvivere. Io sono nato in una città molto tranquilla, Palo Alto, quindi non sto cercando di dire che ho dovuto sopravvivere a battaglie che altri combattono costantemente nella vita di tutti i giorni, ma è un modo per parlare delle pressioni fisiche e psicologiche a cui ogni essere umano è sottoposto solo perché convive con altri esseri umani. Il titolo è anche ironico perché il topo più forte ha un premio doloroso; sesso con la propria madre (un atto violento in sé), a dimostrare che spesso il disperato desiderio di potere che a volte ci prende non ha poi molto senso.
Sulla foto di copertina ci sono io nei panni di Alien, il personaggio che interpreto in Spring Breakers, film di Harmony Korine che deve ancora uscire. Alien è il manifesto degli estremi della cultura contemporanea. È da solo una metafora: la terribile ascesa in cima alla cultura capitalistica attraverso metodi competitivi, di dominanza e materialismo. Vuole ottenere cose, distruggere e consumare; è un demone di avidità e violenza sfrenati. Ma è anche stranamente affascinante e mistico; è l'anima di un'epoca. Ma è anche un personaggio che ho interpretato e proprio perché, così estremo, è un esempio del mio uso delle personificazioni nelle poesie. Proprio come Frank Bidart, che ha usato il personaggio di un serial-killer necrofilo nel componimento "Herbert White" per mostrare l'anti-se stesso, ma ha anche scritto le poesie più autobiografiche come costruzioni artistiche e non necessariamente documentaristiche. Il titolo mi è venuto in mente appena ho concepito l'immagine che volevo veicolare.
GB: C'è anche lo spirito di William Carlos Williams. Ma Williams si avverte anche nel tuo libro di racconti brevi. Palo Alto diventa la tua Paterson intima. È un modello o un trampolino di lancio? Quale poesia di questa raccolta emula al meglio il dictat di Williams "Nessuna idea se non nelle cose"?
JF: Sì, Williams è una grande influenza. Sono spesso portato a usare un discorso semplice e al condurre le cose alla loro essenza, semplificandole in superficie per effetti più complessi dalla struttura al soggetto. Williams non era un fan di Crane, in parte perché credo non l'avesse capito, ma anche perché le loro filosofie di scrittura erano troppo diverse. Allen Ginsberg ha studiato sia lo stile di Crane, sia quello di Williams e mi piace pensare che io sia uno studioso di tutti e tre – a anche di Frank Bidart.
Quando mi chiedi quale sia la poesia che comprende meglio la famosa citazione di Williams, stranamente io penso a quelle che hanno attori famosi come tema principale. Io considero queste celebrità per pensare a delle cose – cose molto complesse – piuttosto che farne una biografia. Voglio usare tutti i turbamenti delle loro vite per parlare di tematiche più generali: fama, amore, sofferenza, fare arte, essere personaggio. Li descrivo, spesso ad un livello apparentemente superficiale, per farne un ritratto, un po' Williams descriveva un gatto o una prugna.
GB: Dopo aver impersonato due distinti poeti americani (Crane e Ginsberg), quali dettagli o aneddoti della loro vita ti hanno dato i più validi strumenti per apprezzare la loro poetica?
JF: Ho fatto entrambi i film quasi nello stesso momento. Avevo pianificato quello su Crane per più di un anno e alla fine l'ho girato come tesi alla NYU. Quello su Ginsberg è arrivato quando stavo girando Milk – il produttore esecutivo di Gus Van Sant stava producendo Howl e mi disse che Rob Epstein e Jeffrey Friedman volevano lavorare con me. Ma avevo letto le sue poesie per anni prima di fare il film.
È stato lavorando ai film che ho capito quali fossero le differenze tra i due poeti. Ginsberg era un comunicatore. Voleva raggiungere le persone. Era un insegnante. La sua opera lo riflette. Sebbene avesse un approccio che mescola il collage allo stile beat, molti riferimenti sono rintracciabili. Non è difficile dare una definizione al miasma di citazioni.
Crane era un poeta molto complesso. Era opaco per scelta, specialmente quando la sua carriera (o non-carriera) avanzava. Voleva fare un'opera che impegnasse i lettori a livelli diversi da quelli a cui erano abituati. È difficile seguire la maggior parte dei suoi componimenti. Per questo era meno un comunicatore di quanto fosse un visionario.
GB: In questa tua raccolta ci sono elementi autobiografici che si collegano ai racconti di Palo Alto ("Seventh Grade," "Fifth Grade"). Esistono esperienze biografiche che si esprimono meglio in poesia che in prosa? Hai mai iniziato a scrivere in una forma e realizzato dopo che non stava funzionando?
JF: Sì, è interessante come le tematiche possano incrociarsi tra diverse discipline e media. Sto anche trasponendo film e performance in poesia, il che è una direzione strana da percorrere. Nella nostra cultura il film è il fine ultimo dell'adattamento. La forma poetica mi permette di dare al soggetto più direzioni liriche e di usare il materiale per fini meno narrativi e più trascendenti.
GB: Tornando a Williams – lui era un medico. Ma per nostra fortuna, la sua altra amante era la poesia. Era bravo in entrambi i campi, ma lo si ricorda per la poesia. Quale sarà il tuo lascito, il tuo lavoro di attore o le opere letterarie? Cosa preferisci: scrittura, recitazione, poesia o arte?
JF: È strano pensarci. Spero di essere ricordato per tutto. La medicina e la poesia sono mondi molto diversi; non sono connessi neanche lontanamente. Le cose di cui io mi occupo sono più correlate che quelle di Williams. Spero di essere ricordato per il modo in cui ho mescolato tutte le cose insieme.
GB: William Carlos Williams ha incluso Allen Ginsberg in Paterson. Ha anche scritto la prefazione a Howl. Tu chi hai "conosciuto" per primo: Williams, Ginsberg o Kerouac? Come ti ha influenzato Howl?
JF: Kerouac è arrivato prima. On the Road è stata la mia introduzione alla Beat Generation, ma Howl è stata la mia prima introduzione alla poesia. Ho studiato Williams a scuola, ma non l'ho studiato così nel dettaglio come ho fatto dopo, quando mi sono iscritto al programma di scrittura del Warren Wilson College in North Carolina.
GB: Ho amato molto che la poesia "Elizabeth Taylor" si trova accanto a "Montgomery Clift". È come se li avessimo colti mentre si baciano quando apriamo la pagina e poi tornino a baciarsi e abbracciarsi quando giriamo la pagina. Lo stesso vale per "Whales" e la poesia sull'osservazione delle balene, "Fifth Grade". Si trovano una accanto all'altra in momenti e posti diversi, ma accomunati dall'idea di Moby Dick e della tensione sessuale in sottofondo. Sono seguite da "Gay New York" e "Theatre". E dopo con "Marlon Brando" e "Paterson Love". È intenzionale o casuale?
JF: Oltre al mio grande editor e amico Ian R. Wilson della UCLA – è stato il mio primo insegnante di scrittura creativa – devo molto della costruzione e dell'ordine del libro al maestro, Frank Bidart. Frank è conosciuto tra i suoi amici come un grande lettore, editor e "arrangiatore" di libri. Mi ha aiutato a selezionare le poesie da includere nella raccolta e a ordinarle in modo che potessero connettersi l'una con l'altra nei modi che hai evidenziato. Frank vede la poesia in maniera spaziale. Quando guarda le parole su una pagina, vede più che segni di suono e significato, vede le cose spazialmente. Come se le parole fossero incise nella pietra. Fa così attenzione a ogni dettaglio perché le poesie sono costruzioni precise per lui.
Sì, Elizabeth Taylor e Monty dovevano stare insieme, sono una coppia, almeno in forma poetica. Moby Dick è il mio libro preferito e a volte sogno di scrivere un libro come quello. Ma so di vivere in un'epoca diversa da quella di Melville. Potrei scrivere un libro sulle balene nel 1850, ma starei scrivendo del passato, mentre Melville scriveva del suo tempo. Ma fondendo Moby Dick e le balene con la poesia sulla vita contemporanea, spero di elevare e arricchire le esperienze dando loro riferimenti storici. Per dare più forza ad una voce giovane.
GB: Paesaggi, edifici, architettura e case che bruciano appaiono lungo tutta la tua opera artistica e letteraria. Questi luoghi fisici sono posti che o tu o il lettore ricordano: la stanza di casa tua, la scuola media, la biblioteca. E spesso i tuoi personaggi hanno legami emotivi con questi luoghi. Mi hai ricordato L'Eclisse di Antonioni, dove gli ultimi dieci minuti sono un montaggio dei luoghi in cui gli amanti si sono incontrati, hanno camminato e dove dovevano incontrarsi ma non è accaduto. Viene tutto da Spengler. Come hanno formato o indirizzato la tua opera i diversi paesaggi? Nelle tue installazioni, ma anche nella tua prosa ho avvertito l’influenza di Gordon Matta-Clark.
JF: Buffo che tu abbia nominato Antonioni; ho usato la fine de L'Eclisse in una poesia parte di una serie di sonetti sul cinema che includerò nel mio primo vero libro di poesia, Directing Herbert White, che sarà pubblicato da Graywolf. Sì, le case e gli edifici sono molto importanti per me. Forse perché riesco a concentrarmi su di essi e dire così tanto sugli esseri umani e le loro interrelazioni senza parlare direttamente degli esseri umani. Le case e i rifugi sono connessi alla civilizzazione; sono grandi simboli della creazione e delle interazioni umane. Forniscono anche belle forme e cornici.
Sì, adoro Gordon Matta-Clark. Amo l'idea di riproporre costruzioni fatte ad uno scopo per diverse finalità artistiche. Matta-Clark usava gli edifici come materiale grezzo da manipolare; a me piace usare i film come materiali grezzi, per rilavorare i loro soggetti così da reinserire i significati e le inflessioni originali in nuovi contesti e, in alcuni casi, trasformarli.
GB: Nel seguito delle poesie sugli attori, tessi le loro lodi, ma non manchi di evidenziarne le debolezze, molte delle quali tragiche. George Cukor una volta disse a Marilyn: "Una persona è presto dimenticata, ma un'immagine resta per sempre." C'è bisogno di ricordare che Liz ingrassò e che De Niro gestisce ristoranti?
JF: Io cerco di evidenziare le immagini insieme alle persone dietro di esse. Per mostrare e l'arte e l'artista. Per mettere in luce la strana posizione in cui si trovano gli attori perché il loro corpo è il loro medium. E per mostrare come la performance va oltre lo schermo e diventa parte della vita.
GB: Nei tuoi lavori c'è questa tensione verso la mascolinità, una curiosità, se è questa la parola giusta, verso gli artisti omosessuali, gli scrittori, i poeti e gli attori. Da cosa è motivata? Ti stai appropriando della cultura gay?
JF: Credo di essere interessato alla mascolinità e alla cultura gay perché sono interessato all'indottrinamento e allo sviluppo. Sento di essere cresciuto in una cultura che ha iscritto in me l'idea di essere un uomo e io voglio interrogare tutte queste idee. Sono interessato alla cultura queer perché è un modo per mettere in discussione uno stile di vita eteronormativo. Come artista, credo sia parte del mio lavoro interrogare e aprire fessure in processi di pensiero che spesso recepiamo come scontati o non sappiamo nemmeno di seguire. Credo di avere un interesse sociale e politico verso questi artisti gay, ma anche un interesse propriamente artistico. Tutti gli artisti gay che ho incluso nei miei lavori fanno parte del passato.
GB: Stai escludendo Frank Bidart e Kenneth Anger, ancora in vita?
JF: Hai ragione, non tutti sono del passato. Stavo parlando di Ginsberg, Crane e Scott Smith (di Milk). Ma Bidart e Anger sono vivissimi. Frank è l'editor ufficioso di Strongest of the Litter – è il miglior lettore delle opere altrui. E ho appena girato un cortometraggio con Kenneth Anger, "The Marriage of Heaven and Hell". Lui interpreta un prete. Lo sto ancora montando. Ho anche un film che presenteremo al Sundance, Interior: Leather Bar che ho co-diretto con un regista gay, Travis Mathews.
GB: In A Heartbreaking Work of Staggering Genius, Dave Eggers offre la statistica della sua vita – altezza, peso, allergie e il suo "posto sulla scala dell'orientamento sessuale da 1, perfettamente etero a 10, perfettamente gay". Ti va di fare lo stesso per noi?
JF: Forte. Sono alto 1.80 m.; credo di pesare 84 kg; per quanto riguarda l'orientamento sessuale, credo di essere in un modo nella vita e in un altro nel lavoro. Sono del tutto etero per quanto riguarda le mie relazioni sentimentali, ma le mie amicizie sono piuttosto gay e la mia arte è molto gay.
GB: T.S. Eliot rifiutò che il suo poema "The Love Song of J. Alfred Prufock" fosse adattato per il cinema. Credeva che un film non permettesse alla poesia di essere poesia. Né permetterebbe al lettore di dare un personale significato all'opera – al contrario, le darebbe una versione autorizzata e chiusa di quello che il poema vuole dire. Tu cosa pensi dell’adattamento di poesie in cinema?
JF: Sì, è una questione complessa. Ho scritto molto di questo. Ma ci hai preso, la poesia è generalmente più aperta a multiple interpretazioni, mentre il cinema è di solito più concreto: hai immagini solide, attori da guardare e ascoltare, una sequenza di eventi su scala temporale ecc. Io ho adattato molte poesie in film: "The Feast of Stephen" di Anthony Hecht; "Herbert White" di Frank Bidart; "The Clerk’s Tale" di Spencer Reese; e con la mia classe della NYU: la raccolta Tar di C.K. Williams e la raccolta Black Dog, Red Dog di Stephen Dobyns. Quando adatti una poesia per il grande schermo, sembra una cosa diversa dall'adattamento di un racconto o un romanzo perché le poesie, generalmente, dipendono molto di più dal tono, dal ritmo e da elementi sonori rispetto alla prosa. Inoltre le poesie, anche quelle narrative, di solito incorporano la narrativa in modi diversi dalla prosa. Così quando adatti poemi per lo schermo, puoi provare a restare fedele al tono e alla struttura e forse anche ai personaggi. Ma le scelte – migliaia di scelte – le fai semplicemente ingaggiando il cast e cercando le location.
GB: In "Feast of Stephen", ho trovato che il personaggio del titolo fosse la personificazione di Kenneth Anger nel suo film avanguardistico Fireworks (1947). Era intenzionale? Come la fusione del film sperimentale e del poema sono diventati "Feast"?
JF: Il mio corto "The Feast of Stephen" non intendeva affatto rappresentare Kenneth Anger da giovane. È dedicato a lui per ragioni estetiche. È stato il mio primo compito alla NYU. Dovevo fare un film di quattro minuti e ricordai di aver letto "The Feast of Stephen" durante un corso su Hecht tenuto da Jonathan Post alla UCLA e avevo pensato che sarebbe potuto diventare un bel film. Quando ero alla UCLA non sapevo come adattarlo, ma una volta alla NYU e con il compito di realizzare un corto, mi resi conto che quella poesia sarebbe stata una fonte straordinaria. È lunga quattro stanze e ha una piccola strana struttura narrativa sepolta all'interno.
Nella poesia, fino alla fine, a malapena ci sono dei personaggi che stanno fuori dal gruppo dei ragazzi descritti. Ma chi parla è anche un personaggio, una sorta di voyeur. Ero ossessionato dal film di Anger Scorpio Rising e amavo il modo in cui lo sguardo della sua camera trasformava la gang di motociclisti machi in teppisti omosessuali. Volevo usare quell'idea dello sguardo trasformatore nel mio film, così ho fatto del personaggio principale un tipo alla Kenneth Anger. È anche il soggetto del poema che descrive ragazzi nudi nello spogliatoio.
Il film cerca di avere la prospettiva del soggetto del poema, così il mio protagonista è una combinazione del soggetto di Hecht e dello sguardo della camera di Anger in Scorpio. La risata finale è ironica, comincia con il maltrattamento del ragazzo, ma finisce sulla sua faccia sorridente; non si tratta del gusto del picchiare, ma è una presa di coscienza sulla complicità dei ragazzi brutali nel mondo omosociale, una complicità che ho trovato nella prima stanza del poema, quella sullo spogliatoio.
GB: La poesia e/o l'esplorazione della poesia e del cinema sono soggetto del tuo PhD a Yale? Stai lavorando ad una tesi?
JF: Sì, la poesia ha una grande parte nei miei studi a Yale. Ho lavorato molto su Whitman e Michael Warner, sulla poesia romantica con Paul Fry e sulla letteratura beat con Amy Hungerford. Non ho ancora progettato una tesi, ma sono sicuro che sarà sull'interazione tra cinema, video, performance e letteratura. Credo di trovarmi in una posizione unica per lavorare su un tale argomento.
GB: Concludendo, cos'è questa cosa con i conigli: Brer Rabbit, Donny Darko, Peter Tabbit ecc.?
JF: Gli animali sono un espediente unico per parlare delle caratteristiche dell'essere umano. Quanto ai conigli, la mia casa di produzione di chiama Rabbit Bandini, e quando ero alle elementari la mia Tartaruga Ninja Mutante era un coniglio. Forse mi piacciono i conigli come metafore perché sono allo stesso tempo vulnerabili, sexy, carini, veloci e innocenti. Sono stati usati per innumerevoli cose, anche in maniera ironica, da Playboy a Gummo. Mi piace usare tutti gli animali, specialmente i conigli. L'ho sempre fatto.
JF: Io e miei fratelli siamo sempre stati incoraggiati a usare la nostra creatività. Tom ha sempre disegnato e realizzato sculture da che io ricordi. Mio fratello amava la televisione e i film da quando era un bambino. Quando ho iniziato a recitare ho visto che era possibile far parte di quegli show che lui tanto amava. Ho dovuto faticare all'inizio quando provavo a dire che uno può guadagnarsi da vivere con la creatività, ma quando ce l'ho fatta, mi hanno sempre incoraggiato. Ora possiamo lavorare tutti insieme perché ci vogliamo bene e possiamo utilizzare le nostre reali relazioni nel nostro lavoro. Mio fratello Dave ha cercato di distaccarsi da me perché stava diventando "il fratello di James Franco", ma lo so che alla fine lo chiamerò sempre per coinvolgerlo nei miei progetti.
GB: All'inizio di The Broken Tower, c'è una citazione di Crane sull'ars poetica che dice più o meno così:
Le motivazioni del poema devono derivare dalle implicite dinamiche emotive del materiale utilizzato, e i termini espressivi impiegati sono selezionati non tanto per il loro significato logico (letterale), quanto per l'associazione dei significati. La lingua ha costruito torri e ponti, ma sarà sempre in sé inevitabilmente fluida.
Quanto questa dichiarazione è vicina alla tua idea di poesia? Quell'epigrafe è più vicina all'intento del tuo film più che alla raccolta stessa?
JF: Molto bene, sì, l'epigrafe è un modo per stabilire il mio approccio a Crane e al suo lavoro in forma cinematografica. Volevo che il film riflettesse l'opera di Crane, sia nel contenuto che nella forma. Sapevo che la ricezione di Crane da parte della critica fu quasi inesistente quando era in vita, anzi fu molto criticato sulla stampa da parte dei suoi stessi amici Alan Tate e Yvor Winters. Il film è stato la mia tesi per la NYU e durante l'intero processo mi è stato detto di utilizzare una struttura più convenzionale. Ma io ho sempre opposto resistenza. Volevo che il film avesse quella struttura episodica e incostante propria della sua poesia.
Ho usato il libro di Paul Mariani The Broken Tower come guida; ma invece di provare a mostrare chiaramente le motivazioni dietro alle azioni di Crane, ho voluto evidenziare i momenti più importanti della sua vita e metterli in contrasto, giustapponendoli, piuttosto che percorrere linearmente le ascese e le cadute. Le sezioni del film dovevano scontrarsi l'una con l'altra allo stesso modo in cui Crane sperava che le sue metafore scontrassero. Sapevo bene di non ottenere un successo commerciale con questo approccio (e soggetto) né di critica, perché i critici di cinema in genere sono ottusi quando si tratta di poesia e vogliono sempre essere portati per mano attraverso questi soggetti con la più lucida narrativa. Sapevo anche che le uniche persone ad aver capito davvero Crane erano probabilmente altri poeti e i suoi studiosi e questi avrebbero voluto un film che parlasse della vita di Crane nel modo in cui l'avrebbero compresa. Ho fatto film di successo al box office e in film che hanno vinto diversi Oscar, non mi interessava fare questo film per avere successo di pubblico o di critica. Avevo solo una cosa a cui essere leale: Crane e il modo in cui vedo e leggo la sua opera.
Il mio libro di poesie, Strongest of the Litter, è scritto in maniera molto diversa dall'intera opera di Crane. Io uso molto discorsi semplici e personificazioni. Cerco di usare le personificazioni per evocare i ritmi del discorso contemporaneo e trovare in quello la poesia. Sono molto interessato alle maschere e al ventriloquismo. Mi mantengo facendo l'attore da dieci anni e mezzo ormai, quindi sono abituato a cucirmi addosso ruoli diversi; la poesia funziona in modo simile.
GB: Il titolo del libro, Strongest of the Litter: Jack London o Charles Darwin? Come sei arrivato a scegliere quel titolo?
JF: Il titolo viene dall'ultimo verso della poesia inclusa nella raccolta che si chiama "Seventh Grade". In quel contesto è ironico, perché descrive un cucciolo di topo che copula con sua madre perché ha dominato su tutti gli altri topi e perché ha l'istinto naturale di procreare. È un modo per mostrare la natura non ragionata di alcuni processi che seguiamo e la violenza e la sessualità dentro di noi. È un'immagine giustapposta ad altre immagini di violenza e paura in una scuola media, come a dire che nel periodo della vita in cui un adolescente sta crescendo, spesso si spinge ad azioni estreme perché sta solo tentando di sopravvivere. Io sono nato in una città molto tranquilla, Palo Alto, quindi non sto cercando di dire che ho dovuto sopravvivere a battaglie che altri combattono costantemente nella vita di tutti i giorni, ma è un modo per parlare delle pressioni fisiche e psicologiche a cui ogni essere umano è sottoposto solo perché convive con altri esseri umani. Il titolo è anche ironico perché il topo più forte ha un premio doloroso; sesso con la propria madre (un atto violento in sé), a dimostrare che spesso il disperato desiderio di potere che a volte ci prende non ha poi molto senso.
Sulla foto di copertina ci sono io nei panni di Alien, il personaggio che interpreto in Spring Breakers, film di Harmony Korine che deve ancora uscire. Alien è il manifesto degli estremi della cultura contemporanea. È da solo una metafora: la terribile ascesa in cima alla cultura capitalistica attraverso metodi competitivi, di dominanza e materialismo. Vuole ottenere cose, distruggere e consumare; è un demone di avidità e violenza sfrenati. Ma è anche stranamente affascinante e mistico; è l'anima di un'epoca. Ma è anche un personaggio che ho interpretato e proprio perché, così estremo, è un esempio del mio uso delle personificazioni nelle poesie. Proprio come Frank Bidart, che ha usato il personaggio di un serial-killer necrofilo nel componimento "Herbert White" per mostrare l'anti-se stesso, ma ha anche scritto le poesie più autobiografiche come costruzioni artistiche e non necessariamente documentaristiche. Il titolo mi è venuto in mente appena ho concepito l'immagine che volevo veicolare.
GB: C'è anche lo spirito di William Carlos Williams. Ma Williams si avverte anche nel tuo libro di racconti brevi. Palo Alto diventa la tua Paterson intima. È un modello o un trampolino di lancio? Quale poesia di questa raccolta emula al meglio il dictat di Williams "Nessuna idea se non nelle cose"?
JF: Sì, Williams è una grande influenza. Sono spesso portato a usare un discorso semplice e al condurre le cose alla loro essenza, semplificandole in superficie per effetti più complessi dalla struttura al soggetto. Williams non era un fan di Crane, in parte perché credo non l'avesse capito, ma anche perché le loro filosofie di scrittura erano troppo diverse. Allen Ginsberg ha studiato sia lo stile di Crane, sia quello di Williams e mi piace pensare che io sia uno studioso di tutti e tre – a anche di Frank Bidart.
Quando mi chiedi quale sia la poesia che comprende meglio la famosa citazione di Williams, stranamente io penso a quelle che hanno attori famosi come tema principale. Io considero queste celebrità per pensare a delle cose – cose molto complesse – piuttosto che farne una biografia. Voglio usare tutti i turbamenti delle loro vite per parlare di tematiche più generali: fama, amore, sofferenza, fare arte, essere personaggio. Li descrivo, spesso ad un livello apparentemente superficiale, per farne un ritratto, un po' Williams descriveva un gatto o una prugna.
GB: Dopo aver impersonato due distinti poeti americani (Crane e Ginsberg), quali dettagli o aneddoti della loro vita ti hanno dato i più validi strumenti per apprezzare la loro poetica?
JF: Ho fatto entrambi i film quasi nello stesso momento. Avevo pianificato quello su Crane per più di un anno e alla fine l'ho girato come tesi alla NYU. Quello su Ginsberg è arrivato quando stavo girando Milk – il produttore esecutivo di Gus Van Sant stava producendo Howl e mi disse che Rob Epstein e Jeffrey Friedman volevano lavorare con me. Ma avevo letto le sue poesie per anni prima di fare il film.
È stato lavorando ai film che ho capito quali fossero le differenze tra i due poeti. Ginsberg era un comunicatore. Voleva raggiungere le persone. Era un insegnante. La sua opera lo riflette. Sebbene avesse un approccio che mescola il collage allo stile beat, molti riferimenti sono rintracciabili. Non è difficile dare una definizione al miasma di citazioni.
Crane era un poeta molto complesso. Era opaco per scelta, specialmente quando la sua carriera (o non-carriera) avanzava. Voleva fare un'opera che impegnasse i lettori a livelli diversi da quelli a cui erano abituati. È difficile seguire la maggior parte dei suoi componimenti. Per questo era meno un comunicatore di quanto fosse un visionario.
GB: In questa tua raccolta ci sono elementi autobiografici che si collegano ai racconti di Palo Alto ("Seventh Grade," "Fifth Grade"). Esistono esperienze biografiche che si esprimono meglio in poesia che in prosa? Hai mai iniziato a scrivere in una forma e realizzato dopo che non stava funzionando?
JF: Sì, è interessante come le tematiche possano incrociarsi tra diverse discipline e media. Sto anche trasponendo film e performance in poesia, il che è una direzione strana da percorrere. Nella nostra cultura il film è il fine ultimo dell'adattamento. La forma poetica mi permette di dare al soggetto più direzioni liriche e di usare il materiale per fini meno narrativi e più trascendenti.
GB: Tornando a Williams – lui era un medico. Ma per nostra fortuna, la sua altra amante era la poesia. Era bravo in entrambi i campi, ma lo si ricorda per la poesia. Quale sarà il tuo lascito, il tuo lavoro di attore o le opere letterarie? Cosa preferisci: scrittura, recitazione, poesia o arte?
JF: È strano pensarci. Spero di essere ricordato per tutto. La medicina e la poesia sono mondi molto diversi; non sono connessi neanche lontanamente. Le cose di cui io mi occupo sono più correlate che quelle di Williams. Spero di essere ricordato per il modo in cui ho mescolato tutte le cose insieme.
GB: William Carlos Williams ha incluso Allen Ginsberg in Paterson. Ha anche scritto la prefazione a Howl. Tu chi hai "conosciuto" per primo: Williams, Ginsberg o Kerouac? Come ti ha influenzato Howl?
JF: Kerouac è arrivato prima. On the Road è stata la mia introduzione alla Beat Generation, ma Howl è stata la mia prima introduzione alla poesia. Ho studiato Williams a scuola, ma non l'ho studiato così nel dettaglio come ho fatto dopo, quando mi sono iscritto al programma di scrittura del Warren Wilson College in North Carolina.
GB: Ho amato molto che la poesia "Elizabeth Taylor" si trova accanto a "Montgomery Clift". È come se li avessimo colti mentre si baciano quando apriamo la pagina e poi tornino a baciarsi e abbracciarsi quando giriamo la pagina. Lo stesso vale per "Whales" e la poesia sull'osservazione delle balene, "Fifth Grade". Si trovano una accanto all'altra in momenti e posti diversi, ma accomunati dall'idea di Moby Dick e della tensione sessuale in sottofondo. Sono seguite da "Gay New York" e "Theatre". E dopo con "Marlon Brando" e "Paterson Love". È intenzionale o casuale?
JF: Oltre al mio grande editor e amico Ian R. Wilson della UCLA – è stato il mio primo insegnante di scrittura creativa – devo molto della costruzione e dell'ordine del libro al maestro, Frank Bidart. Frank è conosciuto tra i suoi amici come un grande lettore, editor e "arrangiatore" di libri. Mi ha aiutato a selezionare le poesie da includere nella raccolta e a ordinarle in modo che potessero connettersi l'una con l'altra nei modi che hai evidenziato. Frank vede la poesia in maniera spaziale. Quando guarda le parole su una pagina, vede più che segni di suono e significato, vede le cose spazialmente. Come se le parole fossero incise nella pietra. Fa così attenzione a ogni dettaglio perché le poesie sono costruzioni precise per lui.
Sì, Elizabeth Taylor e Monty dovevano stare insieme, sono una coppia, almeno in forma poetica. Moby Dick è il mio libro preferito e a volte sogno di scrivere un libro come quello. Ma so di vivere in un'epoca diversa da quella di Melville. Potrei scrivere un libro sulle balene nel 1850, ma starei scrivendo del passato, mentre Melville scriveva del suo tempo. Ma fondendo Moby Dick e le balene con la poesia sulla vita contemporanea, spero di elevare e arricchire le esperienze dando loro riferimenti storici. Per dare più forza ad una voce giovane.
GB: Paesaggi, edifici, architettura e case che bruciano appaiono lungo tutta la tua opera artistica e letteraria. Questi luoghi fisici sono posti che o tu o il lettore ricordano: la stanza di casa tua, la scuola media, la biblioteca. E spesso i tuoi personaggi hanno legami emotivi con questi luoghi. Mi hai ricordato L'Eclisse di Antonioni, dove gli ultimi dieci minuti sono un montaggio dei luoghi in cui gli amanti si sono incontrati, hanno camminato e dove dovevano incontrarsi ma non è accaduto. Viene tutto da Spengler. Come hanno formato o indirizzato la tua opera i diversi paesaggi? Nelle tue installazioni, ma anche nella tua prosa ho avvertito l’influenza di Gordon Matta-Clark.
JF: Buffo che tu abbia nominato Antonioni; ho usato la fine de L'Eclisse in una poesia parte di una serie di sonetti sul cinema che includerò nel mio primo vero libro di poesia, Directing Herbert White, che sarà pubblicato da Graywolf. Sì, le case e gli edifici sono molto importanti per me. Forse perché riesco a concentrarmi su di essi e dire così tanto sugli esseri umani e le loro interrelazioni senza parlare direttamente degli esseri umani. Le case e i rifugi sono connessi alla civilizzazione; sono grandi simboli della creazione e delle interazioni umane. Forniscono anche belle forme e cornici.
Sì, adoro Gordon Matta-Clark. Amo l'idea di riproporre costruzioni fatte ad uno scopo per diverse finalità artistiche. Matta-Clark usava gli edifici come materiale grezzo da manipolare; a me piace usare i film come materiali grezzi, per rilavorare i loro soggetti così da reinserire i significati e le inflessioni originali in nuovi contesti e, in alcuni casi, trasformarli.
GB: Nel seguito delle poesie sugli attori, tessi le loro lodi, ma non manchi di evidenziarne le debolezze, molte delle quali tragiche. George Cukor una volta disse a Marilyn: "Una persona è presto dimenticata, ma un'immagine resta per sempre." C'è bisogno di ricordare che Liz ingrassò e che De Niro gestisce ristoranti?
JF: Io cerco di evidenziare le immagini insieme alle persone dietro di esse. Per mostrare e l'arte e l'artista. Per mettere in luce la strana posizione in cui si trovano gli attori perché il loro corpo è il loro medium. E per mostrare come la performance va oltre lo schermo e diventa parte della vita.
GB: Nei tuoi lavori c'è questa tensione verso la mascolinità, una curiosità, se è questa la parola giusta, verso gli artisti omosessuali, gli scrittori, i poeti e gli attori. Da cosa è motivata? Ti stai appropriando della cultura gay?
JF: Credo di essere interessato alla mascolinità e alla cultura gay perché sono interessato all'indottrinamento e allo sviluppo. Sento di essere cresciuto in una cultura che ha iscritto in me l'idea di essere un uomo e io voglio interrogare tutte queste idee. Sono interessato alla cultura queer perché è un modo per mettere in discussione uno stile di vita eteronormativo. Come artista, credo sia parte del mio lavoro interrogare e aprire fessure in processi di pensiero che spesso recepiamo come scontati o non sappiamo nemmeno di seguire. Credo di avere un interesse sociale e politico verso questi artisti gay, ma anche un interesse propriamente artistico. Tutti gli artisti gay che ho incluso nei miei lavori fanno parte del passato.
GB: Stai escludendo Frank Bidart e Kenneth Anger, ancora in vita?
JF: Hai ragione, non tutti sono del passato. Stavo parlando di Ginsberg, Crane e Scott Smith (di Milk). Ma Bidart e Anger sono vivissimi. Frank è l'editor ufficioso di Strongest of the Litter – è il miglior lettore delle opere altrui. E ho appena girato un cortometraggio con Kenneth Anger, "The Marriage of Heaven and Hell". Lui interpreta un prete. Lo sto ancora montando. Ho anche un film che presenteremo al Sundance, Interior: Leather Bar che ho co-diretto con un regista gay, Travis Mathews.
GB: In A Heartbreaking Work of Staggering Genius, Dave Eggers offre la statistica della sua vita – altezza, peso, allergie e il suo "posto sulla scala dell'orientamento sessuale da 1, perfettamente etero a 10, perfettamente gay". Ti va di fare lo stesso per noi?
JF: Forte. Sono alto 1.80 m.; credo di pesare 84 kg; per quanto riguarda l'orientamento sessuale, credo di essere in un modo nella vita e in un altro nel lavoro. Sono del tutto etero per quanto riguarda le mie relazioni sentimentali, ma le mie amicizie sono piuttosto gay e la mia arte è molto gay.
GB: T.S. Eliot rifiutò che il suo poema "The Love Song of J. Alfred Prufock" fosse adattato per il cinema. Credeva che un film non permettesse alla poesia di essere poesia. Né permetterebbe al lettore di dare un personale significato all'opera – al contrario, le darebbe una versione autorizzata e chiusa di quello che il poema vuole dire. Tu cosa pensi dell’adattamento di poesie in cinema?
JF: Sì, è una questione complessa. Ho scritto molto di questo. Ma ci hai preso, la poesia è generalmente più aperta a multiple interpretazioni, mentre il cinema è di solito più concreto: hai immagini solide, attori da guardare e ascoltare, una sequenza di eventi su scala temporale ecc. Io ho adattato molte poesie in film: "The Feast of Stephen" di Anthony Hecht; "Herbert White" di Frank Bidart; "The Clerk’s Tale" di Spencer Reese; e con la mia classe della NYU: la raccolta Tar di C.K. Williams e la raccolta Black Dog, Red Dog di Stephen Dobyns. Quando adatti una poesia per il grande schermo, sembra una cosa diversa dall'adattamento di un racconto o un romanzo perché le poesie, generalmente, dipendono molto di più dal tono, dal ritmo e da elementi sonori rispetto alla prosa. Inoltre le poesie, anche quelle narrative, di solito incorporano la narrativa in modi diversi dalla prosa. Così quando adatti poemi per lo schermo, puoi provare a restare fedele al tono e alla struttura e forse anche ai personaggi. Ma le scelte – migliaia di scelte – le fai semplicemente ingaggiando il cast e cercando le location.
GB: In "Feast of Stephen", ho trovato che il personaggio del titolo fosse la personificazione di Kenneth Anger nel suo film avanguardistico Fireworks (1947). Era intenzionale? Come la fusione del film sperimentale e del poema sono diventati "Feast"?
JF: Il mio corto "The Feast of Stephen" non intendeva affatto rappresentare Kenneth Anger da giovane. È dedicato a lui per ragioni estetiche. È stato il mio primo compito alla NYU. Dovevo fare un film di quattro minuti e ricordai di aver letto "The Feast of Stephen" durante un corso su Hecht tenuto da Jonathan Post alla UCLA e avevo pensato che sarebbe potuto diventare un bel film. Quando ero alla UCLA non sapevo come adattarlo, ma una volta alla NYU e con il compito di realizzare un corto, mi resi conto che quella poesia sarebbe stata una fonte straordinaria. È lunga quattro stanze e ha una piccola strana struttura narrativa sepolta all'interno.
Nella poesia, fino alla fine, a malapena ci sono dei personaggi che stanno fuori dal gruppo dei ragazzi descritti. Ma chi parla è anche un personaggio, una sorta di voyeur. Ero ossessionato dal film di Anger Scorpio Rising e amavo il modo in cui lo sguardo della sua camera trasformava la gang di motociclisti machi in teppisti omosessuali. Volevo usare quell'idea dello sguardo trasformatore nel mio film, così ho fatto del personaggio principale un tipo alla Kenneth Anger. È anche il soggetto del poema che descrive ragazzi nudi nello spogliatoio.
Il film cerca di avere la prospettiva del soggetto del poema, così il mio protagonista è una combinazione del soggetto di Hecht e dello sguardo della camera di Anger in Scorpio. La risata finale è ironica, comincia con il maltrattamento del ragazzo, ma finisce sulla sua faccia sorridente; non si tratta del gusto del picchiare, ma è una presa di coscienza sulla complicità dei ragazzi brutali nel mondo omosociale, una complicità che ho trovato nella prima stanza del poema, quella sullo spogliatoio.
GB: La poesia e/o l'esplorazione della poesia e del cinema sono soggetto del tuo PhD a Yale? Stai lavorando ad una tesi?
JF: Sì, la poesia ha una grande parte nei miei studi a Yale. Ho lavorato molto su Whitman e Michael Warner, sulla poesia romantica con Paul Fry e sulla letteratura beat con Amy Hungerford. Non ho ancora progettato una tesi, ma sono sicuro che sarà sull'interazione tra cinema, video, performance e letteratura. Credo di trovarmi in una posizione unica per lavorare su un tale argomento.
GB: Concludendo, cos'è questa cosa con i conigli: Brer Rabbit, Donny Darko, Peter Tabbit ecc.?
JF: Gli animali sono un espediente unico per parlare delle caratteristiche dell'essere umano. Quanto ai conigli, la mia casa di produzione di chiama Rabbit Bandini, e quando ero alle elementari la mia Tartaruga Ninja Mutante era un coniglio. Forse mi piacciono i conigli come metafore perché sono allo stesso tempo vulnerabili, sexy, carini, veloci e innocenti. Sono stati usati per innumerevoli cose, anche in maniera ironica, da Playboy a Gummo. Mi piace usare tutti gli animali, specialmente i conigli. L'ho sempre fatto.
Fonte: Los Angeles Review of Books
Traduzione: Chiara Fasano per JAMES FRANCO ITALIA
Bellissima intervista, piena di suggestioni. Il riferimento ad Antonioni mi ha fatto ricordare quella scena intensissima!
RispondiEliminaGrande Chiara! ;) Questa volta mi sa che il lavoro è stato un tour de force...
L'ho tradotta a tempo di record. Avevo il portatile con me in facoltà. ahahah
RispondiEliminaMa è un piacere lavorare su interviste così belle. Senza dubbio la più bella del 2012.
Quando parla di poesia, arte e cinema non lo ferma nessuno. Davvero "inspiring", come dicono dall'altra parte dell'Oceano.
Chiara, non so come farei senza di te! L'altro giorno l'ho letta e ho dovuto cercare metà dell'intervista sul dizionario xD
RispondiEliminaE' bellissima, insieme a days of yore è una delle più belle. E come dici tu, quando parla di di poesia, arte e cinema non lo ferma nessuno. Appena finito di leggere sono rimasta con la bocca aperta pensando "Cavoli, il ragazzo sa il suo conto e non fa le cose a vanvera!"
Queste sono le interviste che davvero mi fanno dire "sono ben contento di sbattermi ogni giorno per portare avanti il blog!" ahah. Amo quando gli fanno le domande giuste e lui si concede senza sconti. Ottimo leggere di "Feast of Stephen", un corto certamente controverso se visto senza conoscere da dove nasce.
RispondiEliminaConcordo con voi! Questa è sicuramente l'intervista migliore del 2012 e una delle più belle interviste mai fatte a James.
RispondiEliminaGrazie Chiara per averla tradotta, perché non sarei riuscita a capire (quando parla di arte e di poesie usa un lessico troppo elevato per i miei standard..eheheh!).