mercoledì 3 aprile 2013

Some More Books: Part 1



Caro D_____,

Come va? Impegnato? Hai cominciato le lezioni? Cosa stai insegnando ora, e come? I miei nuovi corsi sono iniziati e sono belli, una sorta di continuazione di quelli dello scorso semestre. Ho una classe della quadriennale di Scrittura Creativa alla UCLA fuori dal comune; faccio fare loro di tutto, scrivere, realizzare dei video, fare delle letture, li porto con me in giro. In questo trimestre sto organizzando uno studio approfondito su come le case cinematografiche promuovono film multi-milionari (Il Grande e Potente Oz). Li porterò con me nel tour promozionale in giro per il mondo (Giappone, Berlino, Londra, Mosca, New York ecc.). Mi rendo conto adesso che è molto simile a quello che fece Dunne con il suo libro The Studio. E' un modo per dar loro accesso al dietro le quinte di un processo a cui non potrebbero mai accedere altrimenti. L'altro nostro obiettivo è la Disney e come la stessa Disney è una presenza indelebile nelle nostre vite, nel bene e nel male. L'altro corso che ho alla UCLA è della specialistica; questi studenti hanno adattato i racconti di Boswell di The Heyday of the Insensitive Bastards e ora stanno facendo i casting e si stanno preparando a girare. La terza classe è della USC, un altro corso della specialistica in regia, in cui realizzeranno le loro versioni di racconti à la Borges.

Sto anche girando un film sull'infanzia di Charles Bukowski. Abbiamo appena iniziato e sta andando molto bene. Uno dei miei frequenti collaboratori, Tim Blake Nelson, ha detto che ama lavorare ai miei film per la temerarietà della mia casa di produzione nel realizzare i film che ci piacciono. Scegliamo soggetti complessi e autori spesso difficili da adattare o perché il loro modo di scrivere è complicato (Faulkner) o perché le tematiche sono oscure (Cormac McCarthy), ma troviamo il modo di farli con un budget responsabile così possiamo a) riuscire a realizzarli b) farli nelle forme artistiche richieste dalle fonti. Il progetto di Bukowski ha le sue sfide, specialmente per quanto riguarda i toni: dobbiamo trovare il giusto mix di humor, dolore e depravazione tipici della scrittura di Bukowski e dobbiamo farlo adattandolo a una storia di bambini. Quando Bukowski scrisse della sua infanzia, lo fece decenni dopo, infondendo, quindi, nell'io-bambino tutto il peso dello scrittore adulto, peso che deriva dal modo in cui ne scriveva; non vede necessariamente la versione giovane di se stesso nella prospettiva dell'adulto -- anche se alcune volte lo fa -- ma include specifici elementi in momenti specifici e modula gli episodi in modo che l'ironia e il terrore di ciascuna situazione risultino enfatizzate. Descrive il mondo del bambino per un pubblico di adulti.

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The Studio di John Gregory Dunne è il risultato di un'osservazione diligente da lui condotta dopo aver avuto il permesso di accedere alla vasta aera di produzione della Twentieth Century Fox nel 1968. A quel tempo i loro progetti includevano di tutto, da Dr. Doolittle (l'originale on Rex Harrison) a Lo Strangolatore di Boston (un caso ancora fresco all'epoca) al Pianeta delle Scimmie (l'originale), ai pilot di fantascienza che avevano addosso il marchio dell'idea di futuro che si aveva negli anni '60 (il progetto si chiamava 25th Century Man), che sembra così sciocco col senno di poi. L'approccio di Dunne era di osservare, sedere alle riunioni senza prendere appunti e poi, dopo un episodio, ritirarsi in privato e buttare giù tutto ciò che ricordava. Questo approccio nasconde diverse somiglianze con quello documentaristico in cui il materiale centrale è accumulato attraverso riprese non critiche -- ovviamente si sceglie sempre dove sistemare la camera e in sala di montaggio vengono prese delle decisioni critiche, ma allo stadio di "produzione" il documentarista non prende parte nell'azione. Questa sorta di comodità era qualcosa che Dunne doveva perseguire, al pari dei documentaristi, i quali però a volte si troverebbero in difficoltà maggiori perché le telecamere possono essere intrusive. Perfino Dunne era sorpreso dall'accesso che gli fu garantito e intelligentemente non prendeva appunti in presenza degli altri, così da metterli più a proprio agio nel comportarsi normalmente. E' dura immaginare telecamere che lo seguissero ovunque egli andasse -- eravamo prima dell'avvento dei reality e della familiarità di ognuno davanti ad una videocamera o nel vedere la propria vita come una performance. Un aspetto chiave dell'approccio di Dunne era la facciata di discrezione che mostrava, mentre cercava di essere il più intrusivo possibile e grazie a quella facciata riusciva a raccogliere abbastanza materiale da permettergli la flessibilità di creare un ritratto vario e dinamico. Cioè, usava del materiale basato sulla vita, e, sapendo dove indagare e cosa mettere insieme, riuscì a raccontare una storia convincente.

Come per i documentari, qui il soggetto principale fa metà del lavoro; poiché gli fu garantito un accesso illimitato ad un materiale così diversificato e vistoso, aveva molto lavoro da fare se non faceva altro che osservare e registrare. Per quanto riguarda alcuni progetti, avere una telecamera è sufficiente, e questo è vero più generalmente con i prodotti di non finzione, ma qui Dunne non aveva nemmeno bisogno di fare ricerca preventiva: la ricerca era parte del progetto. Sì, probabilmente era aiutato dal fatto che aveva scritto delle sceneggiature e aveva prodotto dei film, il che gli avrebbe dato una prospettiva consapevole su cosa stava cercando, ma alla fine avrebbe potuto fare il lavoro di osservazione anche con una conoscenza minima di quel mondo. Era un soggetto, come molti altri di documentari che ho esplorato, che non aveva bisogno di una conoscenza pregressa, al massimo la richiedeva all'osservatore; come i documentari dei fratelli Maysels, Salesman, Grey Gardens e Gimme Shelter. Tutto ciò che bisognava fare era catturare le cose al momento giusto. E tutto ciò che Dunne doveva fare era essere nella stanza giusta al momento giusto e ascoltare le giuste conversazioni. Il libro si presenta come una serie di dialoghi in cui non è facile stabilire in quali posti ci si trova e chi sono i protagonisti.

Poiché il libro ora ha 44 anni, molto del materiale originale che sarebbe stato rivoluzionario all'epoca dell'uscita, materiale che avrebbe messo a disagio e fatto arrabbiare i personaggi coinvolti, ora ha perso il suo potere. Quel che rimane è un ritratto ben costruito di come lavorava uno studio di produzione alla fine degli anni '60, una creatura particolare che stava passando da un antiquato sistema oligarchico a uno nuovo, leggermente più democratico. In particolare, le produzioni dei film di cui si parla sono interessanti, ma, a mio parere, un po' datate e non si tratta nemmeno di quei classici di cui, almeno io, vorrei conoscere i dettagli. Voglio dire che i dettagli specifici risultavano meno importanti della registrazione di come funzionava quel business, e, in qualche modo, lo sono ancora.

Se, ad esempio, fossero state esplorate le produzioni de Il Padrino o Chinatown, i dettagli di com'era andata sarebbero stati di maggior interesse creativo, biografico e di altra natura (è per questo che un libro come Easy Riders/Raging Bulls oggi è più popolare di The Studio). Tuttavia The Studio è unico e importante non per i film che esplora, ma per il modo in cui lo fa. Easy Riders/Raging Bulls fu realizzato interamente per raccontare gli eventi che racconta, decenni dopo che sono avvenuti, mentre The Studio nasceva mentre i fatti accadevano. Non sto dicendo che un approccio sia meglio dell'altro. I due diversi approcci sono paragonabili allo stile di osservazione dei Mayles in contrasto con lo stile di ricerca/ri-creazione/intervista di Errol Morris. Morris dipinge quadri convincenti, ma c'è qualcosa di indelebile nel mondo in cui i Maysles catturano il dramma reale mentre si verifica davanti alle loro lenti. Non si può dire che la penna di Dunne abbia proprio la stessa immediatezza della camera, ma il suo reportage 'sulla scena' permette una maggiore dovizia di particolari in tempo reale. E alla fine può ancora modificarlo per adattarlo a qualsiasi struttura che voglia.



Autore: James Franco
Traduzione: Chiara Fasano per James Franco Italia

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