La nostra inviata Chiara Fasano, torna un'ultima volta sul luogo del delitto per raccontarci il suo incontro con James Franco e parlarci in esclusiva del round table dedicato al cinema di Nicholas Ray. Non perdetelo!
Tornata a casa, ecco, come promesso il racconto del mio 'giorno veneziano'. Il 3 settembre purtroppo non ho avuto modo di vedere James in passerella, non potendo restare a Venezia fino a mezzanotte a causa del trasporto pubblico inesistente; il 4 settembre, in compenso, è stato un giorno meraviglioso. Arrivo al Lido verso le 10.30, sapendo che la conferenza stampa di 'Sal' è alle 12.00 e che il red carpet di 'We Can't Go Home Again' è fissato per le 14.30. Considerando che alle 19.30 ci sarebbe stata la passerella di Al Pacino e che c'era già gente ad aspettarlo, ho preferito prendere i posti per James dalla mattina. Inutilmente. James la passerella alle 14.30 non l’ha più fatta. Ma torniamo alla mattina. Verso le 11.30 mi sistemo davanti al palazzo del Casinò. Apro tutti e quattro gli occhi (i miei miopi più gli occhiali da sole graduati) e guardo ogni polso nelle mie vicinanze per cercare i cinturini "James Franco Italia" stampati da Sonny, ma non trovo nessuno. (Ripeto, la prossima volta ci organizziamo meglio).
Tornata a casa, ecco, come promesso il racconto del mio 'giorno veneziano'. Il 3 settembre purtroppo non ho avuto modo di vedere James in passerella, non potendo restare a Venezia fino a mezzanotte a causa del trasporto pubblico inesistente; il 4 settembre, in compenso, è stato un giorno meraviglioso. Arrivo al Lido verso le 10.30, sapendo che la conferenza stampa di 'Sal' è alle 12.00 e che il red carpet di 'We Can't Go Home Again' è fissato per le 14.30. Considerando che alle 19.30 ci sarebbe stata la passerella di Al Pacino e che c'era già gente ad aspettarlo, ho preferito prendere i posti per James dalla mattina. Inutilmente. James la passerella alle 14.30 non l’ha più fatta. Ma torniamo alla mattina. Verso le 11.30 mi sistemo davanti al palazzo del Casinò. Apro tutti e quattro gli occhi (i miei miopi più gli occhiali da sole graduati) e guardo ogni polso nelle mie vicinanze per cercare i cinturini "James Franco Italia" stampati da Sonny, ma non trovo nessuno. (Ripeto, la prossima volta ci organizziamo meglio).
A quell'ora è prevista la conferenza stampa di un film russo. Ma i russi ci danno buca. Devo dire che nessuno ne ha sentito la mancanza, con tutto il dovuto rispetto. Arrivano le 11.45 La febbre comincia a salire. 11.50 Le gambe cominciano a tremare. 11.55 Oddio solo cinque minuti! 12.02 circa, il primo grido di un fotografo dall'imbarcadero: JAMES! VAL! Eccoli, sono qui! Io però non vedo ancora niente, perché mi trovo vicino all'ingresso del palazzo. Passa qualche minuto e finalmente lo vedo. Gira l'angolo. Vedo prima i suoi riccioli, poi gli occhiali Gucci, poi quelle labbra fantastiche piegate in un sorriso, quei denti perfetti. E' alto, elegante, ha una classe che non mi aspettavo, giacca e pantaloni neri, camicia bianca, niente cravatta. E' stanco, sembra si sia appena alzato dal letto: non cammina, si trascina. Ma è comunque gentile e disponibilissimo. Firma autografi a TUTTI. (Non lo fa quasi nessuno all’arrivo in conferenza, di certo nessuno ne firma così tanti). Arriva proprio davanti a me, firma così sulla mia moleskine: 'JF <3' e passa oltre.
Continua a firmare autografi e… cosa vedo? Inizia a fare fotografie con i fans. Ma no! Io non gliel'ho chiesta per non dargli fastidio! Ma che stupida! Finisce di firmare e si dirige verso l'ingresso. Allora penso: o la va o la spacca, carpe diem! Urlo. Lo chiamo: "JAMES, A PICTURE PLEASE!" Lui mi sente, si gira e corre verso di me, dicendo: "Ok, but only if it's ready" (la macchina fotografica, intende) e, in italiano: "Uno, Due". E io: "Yeah, it’s ready, uno". Mentre scatto lui sussurra: "ok, ok, ok, ok… perfect". "Thank you so much James, you’re great!" E lui mi rifà quel sorriso assurdo: "You’re welcome!"
Tutta contenta e saltellante torno verso la passerella, dove c'è mia madre, incazzata nera e che mi odia perché ha tenuto il posto inutilmente, visto che nel frattempo hanno saputo che James non farà la passerella, e per di più non l'ha nemmeno visto all'imbarcadero. Ma nel giro di una mezz'oretta mi perdonerà perché, dopo un po', verso l'ora di pranzo lo vediamo insieme a Val Lauren in giro per il viale, da soli, tranquilli che si dirigono verso il ristorante in cui, per la cronaca, il giorno prima siamo andate noi. Tempismo perfetto, eh!?
Alle 14.30 grande dilemma: vado alla proiezione di 'We Can’t Go Home Again' o mi dirigo direttamente verso il Palazzo del Casinò, dove alle 17.15 ci sarà la tavola rotonda sul cinema di Nicholas Ray? Mi rendo conto che è una pazzia andare lì tutto quel tempo prima, ma in fondo ci tengo troppo ad assistere. Se poi aspetto la fine della proiezione e arrivo tardi al Casinò e non trovo un posto decente? O peggio, non trovo più posto? Dopotutto il film di Ray posso sempre vederlo a casa, invece James non potrò mai ascoltarlo a casa mia (eh no, la vedo dura!). Quindi vado al Casinò, terzo piano. C'è ancora la conferenza di Al Pacino. Aspetto...
Dopo di che, chiedo all'omino della sicurezza se posso già prendere il posto per assistere al roundtable. Lui mi guarda l'accredito e mi dice: "Ma lei non può passare con l'accredito cinema. Solo la stampa può assistere" DOH! Lo guardo malissimo e parto all'attacco: gli dico che ho mandato un sacco di e-mail alla Biennale e mi hanno sempre confermato che con l'accredito cinema posso assistere eccome. Mi lamento della scarsa organizzazione dello staff e del fatto che tutte le volte che chiedo informazioni nessuno mi dà mai risposte certe. E chi mi ferma più! Quel povero ragazzo, più per disperazione che per amor della giustizia, dice che chiamerà il capo e mi farà sapere. Io mi siedo buona buona sul divanetto dell'anticamera e decido che non mi farò schiodare da lì nemmeno con la forza. Dopo un po' il tipo ripassa e mi dice che sì, posso andare. Io gli lancio un'occhiata del tipo: non aspettarti che mi inginocchi e ti renda grazie, hai solo fatto il tuo dovere, sai? Comunque, sono all'incirca le 15.45 e la sala aprirà intorno alle 16.40. Pazienza, aspetterò.
Intanto incontro un po' di giornalisti, fotografi, chiedo loro se hanno visto 'Sal' e cosa ne pensano. Uno si è addormentato, una l'ha detestato, a un altro è piaciuto. Poi faccio la mia buona azione del giorno: insegno a una giornalista americana come si mette sotto carica un computer portatile. (Ma io dico, ma da dove escono questi, dall'uovo di Pasqua?). Comunque, le 16.40 arrivano e io sono davanti alla transenna. Sono tra i primi ad entrare. Trovo il posto in prima fila, centralissimo. Mission accomplished. Arriva la signorina che sistema sul tavolo i cartellini con i nomi e le bottigliette d'acqua. "Metti James di fronte a me, metti James di fronte a me! Ti pregooo!" Di fronte a me mette Douglas Gordon, ma non mi posso lamentare, James Franco è proprio accanto a lui.
Puntualissimi entrano in sala. Prima il direttore della Mostra Marco Müller, nella sua immancabile tenuta orientaleggiante con tanto di ombrellino coordinato; poi arriva James, bello, bellissimo, con in mano una bottiglia di San Benedetto da litro (forse quella da mezzo litro già sistemata sul tavolo non gli basta). Gli vedo gli occhi per la prima volta, perché ora non ha gli occhiali da sole. Mi colpiscono immediatamente per come sono svegli e luminosi. Poi entra Susan Ray insieme a un corteo di gente che si sistema nei posti riservati e infine l'artista visivo Douglas Gordon e Alberto Pezzotta, autore di un libro su Ray.
Ora assisto a qualcosa che resterà con me nei secoli dei secoli. A voi o potrà sembrare una stupidaggine, ma per me è stato un momento magico. Quando James si siede, si guarda intorno, osserva un po' il pubblico, poi incrocia il mio sguardo (io sono proprio lì, quasi di fronte a lui), ferma gli occhi su di me per un po' e poi mi sorride, alza la mano e mi fa: "HI!". Cioè, si è ricordato di me! Mi ha riconosciuta dalla mattina! Mi sentivo morire! Io non mi ricordo nemmeno se gli ho risposto o no, ma di certo non avrei mai voluto vedere l'espressione sulla mia faccia, non credo di essermi mai sentita più ebete nella mia vita. Torno nel mondo reale quando sento un'osservazione fatta dal ragazzo seduto dietro di me. La sua collega gli fa notare che James ha l'aria molto stanca e lui, con forte accento romano, dice: "Ma è sempre stanco 'sto ragazzo! Ieri sera pure era fritto!" In effetti…
Puntualissimi entrano in sala. Prima il direttore della Mostra Marco Müller, nella sua immancabile tenuta orientaleggiante con tanto di ombrellino coordinato; poi arriva James, bello, bellissimo, con in mano una bottiglia di San Benedetto da litro (forse quella da mezzo litro già sistemata sul tavolo non gli basta). Gli vedo gli occhi per la prima volta, perché ora non ha gli occhiali da sole. Mi colpiscono immediatamente per come sono svegli e luminosi. Poi entra Susan Ray insieme a un corteo di gente che si sistema nei posti riservati e infine l'artista visivo Douglas Gordon e Alberto Pezzotta, autore di un libro su Ray.
Ora assisto a qualcosa che resterà con me nei secoli dei secoli. A voi o potrà sembrare una stupidaggine, ma per me è stato un momento magico. Quando James si siede, si guarda intorno, osserva un po' il pubblico, poi incrocia il mio sguardo (io sono proprio lì, quasi di fronte a lui), ferma gli occhi su di me per un po' e poi mi sorride, alza la mano e mi fa: "HI!". Cioè, si è ricordato di me! Mi ha riconosciuta dalla mattina! Mi sentivo morire! Io non mi ricordo nemmeno se gli ho risposto o no, ma di certo non avrei mai voluto vedere l'espressione sulla mia faccia, non credo di essermi mai sentita più ebete nella mia vita. Torno nel mondo reale quando sento un'osservazione fatta dal ragazzo seduto dietro di me. La sua collega gli fa notare che James ha l'aria molto stanca e lui, con forte accento romano, dice: "Ma è sempre stanco 'sto ragazzo! Ieri sera pure era fritto!" In effetti…
La conferenza ha inizio ed è molto interessante. Comincia Marco Müller, moderatore del panel e parla un po’ di 'We Can’t Go Home Again'. Non avendo visto il film, non colgo in pieno ciò di cui Müller e Susan Ray parlano, ma mi incuriosisce molto. Poi Müller chiede a James di parlare un po' di Ray e di cosa lo attrae di più del suo cinema. Sappiamo già che James è da sempre un fan di James Dean, 'Rebel Without A Cause' e di quegli autori che affrontano tematiche adolescenziali in un certo modo (vedi Gus Van Sant). Ciò che ama del cinema di Ray è proprio il suo modo di ritrarre i giovani, assolutamente nuovo per quegli anni e incredibilmente attuale anche oggi. Parafrasando le sue parole dice che Ray affronta l'adolescenza con una nuova introspezione psicologica, racconta le interazioni tra ragazzi dei "suburbans" e dà loro voce. Infatti in 'We Can’t Go Home Again' gli attori sono gli stessi studenti di Ray e molte scene sono il frutto di improvvisazione, sono gli stessi ragazzi che interagiscono dando voce alle proprie esperienze. Ray, inoltre, si circondava di ragazzi anche "behind the cameras". James continua dicendo che ogni volta è rapito dai suoi film, dai colori e dalle emozioni che certamente scaturiscono dalle stesse interpretazioni dei ragazzi nel film.
Poi Pezzotta parla del senso di contemporaneità del lavoro di Ray. Ci tiene a specificare che il cineasta ha iniziato a lavorare per il cinema solo nel 1946, dopo aver fatto molta radio e tv. In questo periodo ha sviluppato una senso di disillusione, derivato soprattutto dalle utopie del New Deal. Secondo lui è da qui che nasce la sua sensibilità e il suo senso della storia. Tutte le volte che iniziava a fare un film era come se già sentisse la storia alle spalle, e allo stesso tempo il bisogno di ricominciare da capo. Nicholas Ray non aveva verità assolute da svelare o uno stile da imporre. Al contrario, non voleva mai ripetersi. Ad esempio, nel film successivo a 'Gioventù Bruciata' si rifiutò di usare la stessa inquadratura a 360° già impiegata nel film precedente, perché "non voleva diventare un’imitazione di se stesso".
Il discorso si sposta su 'Rebel'. Müller, rivolgendosi a James, dice che in 'Rebel' confluisce il legame tra Nicholas Ray e l'arte contemporanea. James annuisce e dice che l'idea è nata dalla volontà di trattare le stesse tematiche di Ray, però con uno sguardo nuovo, coinvolgendo anche persone provenienti dal mondo dell'arte. In questo modo sono stati in grado di inserire elementi che sarebbe stato impossibile inserire in un prodotto esclusivamente cinematografico, in particolar modo in un film degli anni di Ray. Così è nata la collaborazione tra James Franco e Douglas Gordon, al quale James ha presentato il suo materiale. Gordon l'ha trovato molto originale e ha accettato entusiasta di partecipare all'installazione con il video 'Henry Rebel Burning and Drawing'. L'artista racconta da dove è nata l'idea di questo video. Da sua figlia, che si diverte a ripercorrere con le dita il disegno tatuato sul polso del padre. (Gordon è pieno di tatoos, per la cronaca). Troviamo lo stesso rapporto dolore-inchiostro nel video con protagonista Henry Hopper. Il suo dolore lancinante si trasforma in catarsi quando alla fine disegna sul corpo delle linee rosse.
Quale domanda farebbe oggi James Franco a Nicholas Ray? Ci pensa un po' e poi dice che semplicemente gli chiederebbe di lavorare insieme a qualcosa. E qual è secondo lui la differenza tra la gioventù raccontata da Ray e quella di oggi? James esordisce con un "That's a big question!". Ma non c'è domanda che lo metta in difficoltà, sentirlo parlare è fantastico. Dice che Ray era visto come un sovversivo perché il primo ad affrontare particolari tematiche, anche scomode. Basti pensare a Mineo, il primo adolescente gay nella storia del cinema. Oggi c'è molta più libertà, molta più apertura. Gus Van Sant gli ha raccontato che una volta gli proibirono di inserire scene di sesso in un film per la TV. Oggi è tutto il contrario. Sono gli stessi produttori che spingono per avere questi – cito testualmente – "cable moments". Conclude il discorso la signora Ray, dicendo che la gioventù ritratta da suo marito era molto fisica. Oggi, invece, le nuove generazioni vivono in un mondo virtuale, sono alienati. Applauso e Müller conclude con i ringraziamenti.
Sono le 18.15 circa. Non mi rendo conto che è già passata un’ora. È volata! Mi dirigo verso il tavolo. James è ancora lì per gli autografi. Visto che ci sono… Questa volta mi disegna una faccina e fa la firma completa. Sempre visto che ci sono gliene chiedo un altro per mia sorella e lui senza battere ciglio firma di nuovo. Ma quanto è buono 'sto ragazzo! Allora gli dico: "Congratulation for your work!" e lui: "Thaaank you, Darling!" e di nuovo quel sorriso meraviglioso.
Poi assisto a una scena divertentissima. Un signore vicino a me, forse un giornalista, ha in mano un po' di foto da fargli autografare. Ma apparentemente non è sicuro se il soggetto ritratto su una di queste sia davvero James o no. Una persona sana di mente si toglierebbe il dubbio chiedendolo NON al diretto interessato, non vi sembra? Ma lui no. Incurante va da James e gli dice, in un inglese alquanto discutibile: "James, are you this?". Evidentemente non era lui, perché James, con un'espressione impagabile, quasi schifato gli fa: "Oh, nooo." Io scoppio a ridere.
Firmati tutti gli autografi, usciamo dalla sala e torniamo nell'anticamera. Questa volta la transenna ci separa da James, che dopo qualche minuto e qualche altro autografo se ne va, per la sua uscita, diversa dalla nostra.
Quando chiudono la porta, me ne vado anch'io, felice e soddisfatta. Contenta e fiera di essere fan di una persona così straordinaria. Una volta ho letto una citazione di Johnny Depp: "Hai sempre paura che i tuoi idoli si rivelino delle teste di cazzo." Non se è di James Franco che stiamo parlando.
>> PARTE I
>> PARTE II
Ahhhh Sonny !! i simply LOVED these pictures........James is amazing, perfect, gorgeousssssssssss !!!! :D
RispondiEliminaBRAVA CHIARAAA!!!Anch'io avrei voluto vederlo da vicino!Mamma che emozioneee!io sarei svenuta come minimo!
RispondiEliminaGrazie Marianna! :))))
RispondiEliminaBellissimo e accuratissimo resoconto Chiara, e grazie per averci reso partecipi! Tra l’altro, non so perché ma in queste tue foto lui mi sembra più attraente e luminoso che in tutti gli scatti veneziani che ho avuto modo di vedere! Non c’è bisogno di dire che hai tutta la mia solidarietà per la reazione a quell’ “Hi!”, per il solo fatto di non essere svenuta meriteresti un encomio! ;)
RispondiEliminaGrazie Kay! *_*
RispondiEliminaOra che questa lunga parentesi veneziana si conclude qui, volevo ringraziare pubblicamente Chiara per tutto quello che ci ha raccontato in questi giorni! :) Spero abbiate gradito i post.
RispondiEliminaSono rapito dal resoconto del round table dedicato a Ray, e soprattutto da Gordon che spiega come è nata la sua sezione nel progetto 'Rebel'
Rileggere questi post è un po' come tornare indietro a quei giorni..che emozione poter dire "IO C'ERO!"
RispondiEliminaSoprattutto riguardando le tue foto al suo arrivo alla conferenza mi fa uno strano effetto! è prorpio il caso di dire che ho laciato un pezzo di cuore a Venezia!
Grazie Chiara!
Camilla!
Lo abbiamo lasciato tutti, Camilla! Grazie a te!
RispondiEliminaMamma miaaaa che C... che hai avuto Chiara! La foto con luiiiii!!! Beh c'è anche da dire che sei stata molto brava, perseverante direi eheheh;)
RispondiElimina