di Michael Bibler, pubblicato su L.A. Review of Books
traduzione di Chiara Fasano
Se si studia la letteratura del sud, ci si accorge che tutte le strade portano alla Contea di Yoknapatawpha di William Faulkner, pur non avendo alcuna di intenzione di andarci. Nella fattispecie: durante le ricerche per un libro su Truman Capote ho trovato una sua recensione del 1949 riguardo a - tra le altre cose - un moderno adattamento di "Mentre Morivo". E questa scoperta mi ha portato ad una serie di altri adattamenti del romanzo, incluso un mimo francese d'avanguardia, un'opera, diversi tipi di teatro fisico e una performance multimediale con marionette.
Oggi, 73 anni dopo la pubblicazione del romanzo, la visione di Faulkner è finalmente arrivata sul grande schermo, adattata e diretta da James Franco, che interpreta anche il ruolo di Darl. Girato nel nord del Mississippi, il film segue il viaggio epico della famiglia Bundren che affronta inondazioni, incendi, infortuni e follia prima di seppellire la madre, Addie, nella sua città di nascita, Jefferson. Il romanzo è narrato attraverso 59 monologhi dei 19 personaggi, e ha l’effetto di un copione drammatico frammentario o di una serie di monologhi interiori, il che lo rende incredibilmente difficile da adattare in qualsiasi altra forma. Come Mr. Franco spiega sotto, trasporre il romanzo in un film presenta opportunità interessanti e sfide per chiunque provi a catturare e reimmaginare sia quel realismo contadino sia quel surrealismo modernista del tour-de-force di Faulkner (com'egli stesso ebbe a dire). Il film ha già generato fermento e interesse e sarà senza dubbio oggetto di maggiore discussione, accademica e di altro genere, negli anni a venire. Contemporaneamente al debutto di "Mentre Morivo" al Festival di Cannes, Mr. Franco mi ha concesso questa intervista via e-mail riguardo al suo adattamento.
MICHAEL BIBLER: Quando hai letto "Mentre Morivo" per la prima volta? E qual è stata la tua reazione?
JAMES FRANCO: L'ho letto due volte quando ero al liceo. Mi ero messo nei guai, dovevo stare a casa nei week-end così da non combinarne altri con i miei amici. Mio padre mi aveva detto che "Mentre Morivo" era un libro incredibile e con una scena indimenticabile in cui i personaggi attraversano un fiume. Mi ricordo di un venerdì nello studio di casa nostra stipato di libri. Mi rivedo sulla piccola scrivania di legno, curvo sul libro, mentre cerco di sviscerarne tutto il suo contenuto. Era un enigma, ma un enigma affascinante. Faulkner mi fece venir voglia di fare lo scrittore.
MB: Quando hai deciso di adattare il romanzo per il cinema e perché proprio questo libro?
JF: Ho pensato a questo libro come ad un film dopo aver letto una biografia di Sean Penn e aver scoperto che lui una volta voleva adattarlo. Mi ha fatto riflettere: si poteva fare, altri avevano avuto questa idea, ma nessun adattamento cinematografico è stato mai realizzato in 80 anni dalla pubblicazione.
I personaggi di questo libro hanno tanto da offrire. Ognuno di loro ha un mini-dramma che porta avanti con sé durante il viaggio per trasportare in città il corpo della madre. Ho pensato che questo aspetto potesse rendere il film complesso, perché altrimenti la storia è molto semplice. C'è un viaggio chiaro, una destinazione, ma durante quel viaggio avrei potuto esplorare i personaggi e le loro anime in maniera non convenzionale.
MB: Tra i tuoi diversi tipi di pubblico, questo film, ovviamente, sarà oggetto di interesse per i fan, gli amanti e gli studenti di Faulkner. Hai pensato al pubblico di Faulkner mentre scrivevi il tuo adattamento? Cosa pensi che direbbero del tuo film?
JF: Non lo so. Io sono un fan di Faulkner, quindi credo di aver cercato di essere fedele alla mia concezione di Faulkner. Adattare un libro di un grande autore è un'esperienza fantastica perché è come collaborare con quella persona. Mi sentivo davvero come se stessi avendo una conversazione con Faulkner; anche se non è vivo, era vivo nella sua opera. Così ho provato a fare un film che lui avrebbe apprezzato.
MB: E' noto il tuo interesse per la letteratura, che studi a livelli di Master e PhD. Quanto i tuoi interessi accademici hanno plasmato questo adattamento?
JF: Uno dei miei colleghi a Yale, Matt Rager, mi ha aiutato ad adattare il libro. In quel senso le mie conoscenze universitarie hanno avuto grande influenza sul film. Sto lavorando ad un PhD in Letteratura con enfasi sulla teoria dei media e sulla letteratura americana del ventesimo secolo. Adattare quella storia da un medium a un altro aveva tutto a che fare con quell'area di competenza. Ho provato a capire come essere fedeli allo spirito, al tono e alla struttura di Faulkner, pur rappresentandoli in una forma nuova.
MB: Hai fatto delle letture di critica letteraria sul romanzo, su Faulkner o sul modernismo prima o durante il processo di adattamento? C'è stata una particolare analisi critica che ti ha influenzato di più?
JF: Credo che le idee di Christian Metz mi hanno permesso di pensare al cinema come un linguaggio e di vedere parallelismi tra la grammatica del testo scritto e la grammatica del cinema.
MB: Nelle mie ricerche ho scoperto almeno 14 diversi adattamenti teatrali di "Mentre Morivo". Li conoscevi prima di scrivere il tuo adattamento? Ne hai visto qualcuno?
JF: No.
MB: Da attore, autore e regista, puoi dirci la tua opinione riguardo alla differenza tra teatro e cinema? Cosa può fare un adattamento cinematografico che una performance teatrale non può? E viceversa.
JF: Una delle cose principali che il teatro non può fare facilmente, ma il cinema sì è incorniciare costantemente l'azione. Un film ti dà i primi piani ed è molto più didattico perché dice al pubblico cosa guardare. Il teatro ha la forza della performance dal vivo, ma con una storia on the road come "Mentre Morivo", un adattamento teatrale dipenderebbe dalle esigenze del palcoscenico per mettere in scena un viaggio. Il nostro film è girato in Mississippi, mostriamo i reali paesaggi di campagna di cui Faulkner scriveva; a teatro l'atmosfera risulterebbe innaturale. Non sto dicendo che uno è superiore all'altro; sto solo evidenziando cosa può dare di più la trasposizione in un film. Ovviamente ci sono altre cose che una produzione teatrale può fare meglio di una cinematografica.
MB: Hai detto altrove che volevi essere "fedele" al romanzo, anche se significava cambiare delle cose. Puoi parlare degli aspetti del romanzo a cui sei stato fedele e in che modo lo sei stato?
JF: Nel libro ogni capitolo è narrato in prima persona da diversi personaggi. Questa struttura crea prospettive multiple. Volevo catturare quella sensazione caleidoscopica, ma se avessimo diviso il film in capitoli, come nel libro, sarebbe risultato troppo statico. Così ci è venuta l'idea dello split screen per mostrare le molteplici prospettive. Dà l'idea di più esperienze vissute contemporaneamente. Ogni personaggio prova sentimenti distinti durante lo stesso viaggio.
Inoltre Faulkner scrive in due livelli di complessità differenti: quando i personaggi parlano ad alta voce, la dizione è semplice e diretta, mentre i monologhi interiori sono molto complessi. I loro pensieri sono espressi attraverso discorsi molto più avanzati di quelli che questi personaggi sarebbero mai in grado di articolare. Si va oltre ciò che riuscirebbero ad esprimere realisticamente, creando così una sensazione di trascendenza nel libro.
I monologhi interiori elevano il romanzo verso l'epica. E' metafisico. Abbiamo usato una particolare voce fuori campo per catturare questo inusuale tipo di pensiero interiore. I personaggi parlano direttamente in camera per dare l'impressione di una confessione o che si trovino in uno speciale luogo trascendentale.
MB: Puoi dire qualcosa in più sulle cose che hai sentito di dover cambiare, e perché?
JF: Abbiamo dovuto tagliare la maggior parte delle vicende che coinvolgono Cora, così da restare con i Bundren. C'è solo un numero specifico di personaggi su cui ci si può concentrare in un film per non sovraccaricarlo.
MB: Una delle critiche frequenti a "Mentre Morivo" è che la prosa è troppo 'letteraria' e non riflette accuratamente il vernacolo del Mississippi o del sud. L'uso del linguaggio di Faulkner ti ha creato degli ostacoli particolari?
JF: No, come ho detto prima, abbiamo trasformato la prosa letteraria in momenti spirituali. La storia può essere letta su due livelli: quello terreno degli sforzi di una famiglia del sud e quello epico degli sforzi universali dell'essere umani
MB: Il romanzo è una storia del sud. Hai considerato questo aspetto nel film? Hai temuto che i tuoi personaggi sarebbero accidentalmente apparsi come stereotipi? Dal momento che hai girato in luoghi così vicini a quelli in cui Faulkner è nato, nel nord del Mississippi, quanto è importante il Mississippi per la tematica del film?
JF: Sì, si avverte che le nostre scenografie e i personaggi sono evidentemente del sud. Abbiamo anche fatto i casting nel Mississippi. Il ragazzino che intepreta Vardaman viene da lì, il che ha aumentato l'autenticità nel film. Non ero preoccupato per gli stereotipi; tutti gli attori sono talmente bravi e intelligenti che non hanno neanche sfiorato il rischio di cadere nello stereotipo.
MB: Durante la Grande Depressione, periodo in cui è ambientata la storia, sono stati fatti tanti documentari e reportage fotografici sul sud. Ne avevi qualcuno in mente mentre pensavi all'estetica del tuo film?
JF: Suppongo di sì. I costumisti e gli scenografi hanno tratto molti riferimenti.
MB: Come hai trattato le meditazioni nel romanzo sull'insufficienza del linguaggio e la natura arbitraria delle parole, quelle che Addie chiama "form[e] per riempire un vuoto"?
JF: Abbiamo usato quel monologo per intero nel film. Per far parlare da sé il linguaggio di Faulkner.
MB: Allo stesso tempo, è anche un romanzo sulla materialità del corpo - sul desiderio dei corpi, su corpi gravidi, corpi sofferenti, corpi sfigurati, corpi morti. Il tuo adattamento dà enfasi alla questione della fisicità e materialità?
JF: Sì, quella questione è inerente agli sforzi dei personaggi. Volevo fare un film particolarmente viscerale e crudo, perché molti adattamenti di Faulkner mi sembravano troppo manierati. Non mostravano la brutalità e la passione che trovavo nei suoi libri. Volevo essere sicuro di porre l'enfasi sulla fisicità del viaggio e degli sforzi della famiglia.
MB: Alcuni potrebbero essere tentati di paragonare il tuo film con "Fratello, Dove Sei?" dei fratelli Coen, in cui una molto più vecchia storia mitologica è raccontata attraverso un viaggio intrapreso da un cast di personaggi meridionali. Come risponderesti a questo paragone? Hai mai riflettuto sull'uso della mitologia nel romanzo?
JF: A dire il vero, no. I Coen usano molto umorismo nei loro film; i nostri film non hanno quel sense of humor. Amo i Coen, ma non credo affatto che il nostro film sia come "Fratello, Dove Sei?". Credo che l'aspetto più grande preso da loro (a parte Tim Blake Nelson) sia l'uso dell'ironia. C'è una consapevolezza della stranezza dei loro personaggi che non cade mai nella satira, ma resta un’intelligente presa di coscienza, simile a quella di altri film come "Barry Lyndon" e "Orizzonti di Gloria". Speravo di catturare un po' di quella ironia, in modo che il film non risultasse una lezione scolastica, ma avesse qualcosa in più.
MB: Alcuni lettori trovano molta commedia nera in "Mentre Morivo". Come hai trattato l'humor del romanzo nel tuo adattamento?
Oggi, 73 anni dopo la pubblicazione del romanzo, la visione di Faulkner è finalmente arrivata sul grande schermo, adattata e diretta da James Franco, che interpreta anche il ruolo di Darl. Girato nel nord del Mississippi, il film segue il viaggio epico della famiglia Bundren che affronta inondazioni, incendi, infortuni e follia prima di seppellire la madre, Addie, nella sua città di nascita, Jefferson. Il romanzo è narrato attraverso 59 monologhi dei 19 personaggi, e ha l’effetto di un copione drammatico frammentario o di una serie di monologhi interiori, il che lo rende incredibilmente difficile da adattare in qualsiasi altra forma. Come Mr. Franco spiega sotto, trasporre il romanzo in un film presenta opportunità interessanti e sfide per chiunque provi a catturare e reimmaginare sia quel realismo contadino sia quel surrealismo modernista del tour-de-force di Faulkner (com'egli stesso ebbe a dire). Il film ha già generato fermento e interesse e sarà senza dubbio oggetto di maggiore discussione, accademica e di altro genere, negli anni a venire. Contemporaneamente al debutto di "Mentre Morivo" al Festival di Cannes, Mr. Franco mi ha concesso questa intervista via e-mail riguardo al suo adattamento.
MICHAEL BIBLER: Quando hai letto "Mentre Morivo" per la prima volta? E qual è stata la tua reazione?
JAMES FRANCO: L'ho letto due volte quando ero al liceo. Mi ero messo nei guai, dovevo stare a casa nei week-end così da non combinarne altri con i miei amici. Mio padre mi aveva detto che "Mentre Morivo" era un libro incredibile e con una scena indimenticabile in cui i personaggi attraversano un fiume. Mi ricordo di un venerdì nello studio di casa nostra stipato di libri. Mi rivedo sulla piccola scrivania di legno, curvo sul libro, mentre cerco di sviscerarne tutto il suo contenuto. Era un enigma, ma un enigma affascinante. Faulkner mi fece venir voglia di fare lo scrittore.
MB: Quando hai deciso di adattare il romanzo per il cinema e perché proprio questo libro?
JF: Ho pensato a questo libro come ad un film dopo aver letto una biografia di Sean Penn e aver scoperto che lui una volta voleva adattarlo. Mi ha fatto riflettere: si poteva fare, altri avevano avuto questa idea, ma nessun adattamento cinematografico è stato mai realizzato in 80 anni dalla pubblicazione.
I personaggi di questo libro hanno tanto da offrire. Ognuno di loro ha un mini-dramma che porta avanti con sé durante il viaggio per trasportare in città il corpo della madre. Ho pensato che questo aspetto potesse rendere il film complesso, perché altrimenti la storia è molto semplice. C'è un viaggio chiaro, una destinazione, ma durante quel viaggio avrei potuto esplorare i personaggi e le loro anime in maniera non convenzionale.
MB: Tra i tuoi diversi tipi di pubblico, questo film, ovviamente, sarà oggetto di interesse per i fan, gli amanti e gli studenti di Faulkner. Hai pensato al pubblico di Faulkner mentre scrivevi il tuo adattamento? Cosa pensi che direbbero del tuo film?
JF: Non lo so. Io sono un fan di Faulkner, quindi credo di aver cercato di essere fedele alla mia concezione di Faulkner. Adattare un libro di un grande autore è un'esperienza fantastica perché è come collaborare con quella persona. Mi sentivo davvero come se stessi avendo una conversazione con Faulkner; anche se non è vivo, era vivo nella sua opera. Così ho provato a fare un film che lui avrebbe apprezzato.
MB: E' noto il tuo interesse per la letteratura, che studi a livelli di Master e PhD. Quanto i tuoi interessi accademici hanno plasmato questo adattamento?
JF: Uno dei miei colleghi a Yale, Matt Rager, mi ha aiutato ad adattare il libro. In quel senso le mie conoscenze universitarie hanno avuto grande influenza sul film. Sto lavorando ad un PhD in Letteratura con enfasi sulla teoria dei media e sulla letteratura americana del ventesimo secolo. Adattare quella storia da un medium a un altro aveva tutto a che fare con quell'area di competenza. Ho provato a capire come essere fedeli allo spirito, al tono e alla struttura di Faulkner, pur rappresentandoli in una forma nuova.
MB: Hai fatto delle letture di critica letteraria sul romanzo, su Faulkner o sul modernismo prima o durante il processo di adattamento? C'è stata una particolare analisi critica che ti ha influenzato di più?
JF: Credo che le idee di Christian Metz mi hanno permesso di pensare al cinema come un linguaggio e di vedere parallelismi tra la grammatica del testo scritto e la grammatica del cinema.
MB: Nelle mie ricerche ho scoperto almeno 14 diversi adattamenti teatrali di "Mentre Morivo". Li conoscevi prima di scrivere il tuo adattamento? Ne hai visto qualcuno?
JF: No.
MB: Da attore, autore e regista, puoi dirci la tua opinione riguardo alla differenza tra teatro e cinema? Cosa può fare un adattamento cinematografico che una performance teatrale non può? E viceversa.
JF: Una delle cose principali che il teatro non può fare facilmente, ma il cinema sì è incorniciare costantemente l'azione. Un film ti dà i primi piani ed è molto più didattico perché dice al pubblico cosa guardare. Il teatro ha la forza della performance dal vivo, ma con una storia on the road come "Mentre Morivo", un adattamento teatrale dipenderebbe dalle esigenze del palcoscenico per mettere in scena un viaggio. Il nostro film è girato in Mississippi, mostriamo i reali paesaggi di campagna di cui Faulkner scriveva; a teatro l'atmosfera risulterebbe innaturale. Non sto dicendo che uno è superiore all'altro; sto solo evidenziando cosa può dare di più la trasposizione in un film. Ovviamente ci sono altre cose che una produzione teatrale può fare meglio di una cinematografica.
MB: Hai detto altrove che volevi essere "fedele" al romanzo, anche se significava cambiare delle cose. Puoi parlare degli aspetti del romanzo a cui sei stato fedele e in che modo lo sei stato?
JF: Nel libro ogni capitolo è narrato in prima persona da diversi personaggi. Questa struttura crea prospettive multiple. Volevo catturare quella sensazione caleidoscopica, ma se avessimo diviso il film in capitoli, come nel libro, sarebbe risultato troppo statico. Così ci è venuta l'idea dello split screen per mostrare le molteplici prospettive. Dà l'idea di più esperienze vissute contemporaneamente. Ogni personaggio prova sentimenti distinti durante lo stesso viaggio.
Inoltre Faulkner scrive in due livelli di complessità differenti: quando i personaggi parlano ad alta voce, la dizione è semplice e diretta, mentre i monologhi interiori sono molto complessi. I loro pensieri sono espressi attraverso discorsi molto più avanzati di quelli che questi personaggi sarebbero mai in grado di articolare. Si va oltre ciò che riuscirebbero ad esprimere realisticamente, creando così una sensazione di trascendenza nel libro.
I monologhi interiori elevano il romanzo verso l'epica. E' metafisico. Abbiamo usato una particolare voce fuori campo per catturare questo inusuale tipo di pensiero interiore. I personaggi parlano direttamente in camera per dare l'impressione di una confessione o che si trovino in uno speciale luogo trascendentale.
MB: Puoi dire qualcosa in più sulle cose che hai sentito di dover cambiare, e perché?
JF: Abbiamo dovuto tagliare la maggior parte delle vicende che coinvolgono Cora, così da restare con i Bundren. C'è solo un numero specifico di personaggi su cui ci si può concentrare in un film per non sovraccaricarlo.
MB: Una delle critiche frequenti a "Mentre Morivo" è che la prosa è troppo 'letteraria' e non riflette accuratamente il vernacolo del Mississippi o del sud. L'uso del linguaggio di Faulkner ti ha creato degli ostacoli particolari?
JF: No, come ho detto prima, abbiamo trasformato la prosa letteraria in momenti spirituali. La storia può essere letta su due livelli: quello terreno degli sforzi di una famiglia del sud e quello epico degli sforzi universali dell'essere umani
MB: Il romanzo è una storia del sud. Hai considerato questo aspetto nel film? Hai temuto che i tuoi personaggi sarebbero accidentalmente apparsi come stereotipi? Dal momento che hai girato in luoghi così vicini a quelli in cui Faulkner è nato, nel nord del Mississippi, quanto è importante il Mississippi per la tematica del film?
JF: Sì, si avverte che le nostre scenografie e i personaggi sono evidentemente del sud. Abbiamo anche fatto i casting nel Mississippi. Il ragazzino che intepreta Vardaman viene da lì, il che ha aumentato l'autenticità nel film. Non ero preoccupato per gli stereotipi; tutti gli attori sono talmente bravi e intelligenti che non hanno neanche sfiorato il rischio di cadere nello stereotipo.
MB: Durante la Grande Depressione, periodo in cui è ambientata la storia, sono stati fatti tanti documentari e reportage fotografici sul sud. Ne avevi qualcuno in mente mentre pensavi all'estetica del tuo film?
JF: Suppongo di sì. I costumisti e gli scenografi hanno tratto molti riferimenti.
MB: Come hai trattato le meditazioni nel romanzo sull'insufficienza del linguaggio e la natura arbitraria delle parole, quelle che Addie chiama "form[e] per riempire un vuoto"?
JF: Abbiamo usato quel monologo per intero nel film. Per far parlare da sé il linguaggio di Faulkner.
MB: Allo stesso tempo, è anche un romanzo sulla materialità del corpo - sul desiderio dei corpi, su corpi gravidi, corpi sofferenti, corpi sfigurati, corpi morti. Il tuo adattamento dà enfasi alla questione della fisicità e materialità?
JF: Sì, quella questione è inerente agli sforzi dei personaggi. Volevo fare un film particolarmente viscerale e crudo, perché molti adattamenti di Faulkner mi sembravano troppo manierati. Non mostravano la brutalità e la passione che trovavo nei suoi libri. Volevo essere sicuro di porre l'enfasi sulla fisicità del viaggio e degli sforzi della famiglia.
MB: Alcuni potrebbero essere tentati di paragonare il tuo film con "Fratello, Dove Sei?" dei fratelli Coen, in cui una molto più vecchia storia mitologica è raccontata attraverso un viaggio intrapreso da un cast di personaggi meridionali. Come risponderesti a questo paragone? Hai mai riflettuto sull'uso della mitologia nel romanzo?
JF: A dire il vero, no. I Coen usano molto umorismo nei loro film; i nostri film non hanno quel sense of humor. Amo i Coen, ma non credo affatto che il nostro film sia come "Fratello, Dove Sei?". Credo che l'aspetto più grande preso da loro (a parte Tim Blake Nelson) sia l'uso dell'ironia. C'è una consapevolezza della stranezza dei loro personaggi che non cade mai nella satira, ma resta un’intelligente presa di coscienza, simile a quella di altri film come "Barry Lyndon" e "Orizzonti di Gloria". Speravo di catturare un po' di quella ironia, in modo che il film non risultasse una lezione scolastica, ma avesse qualcosa in più.
MB: Alcuni lettori trovano molta commedia nera in "Mentre Morivo". Come hai trattato l'humor del romanzo nel tuo adattamento?
A me intriga tantissimo, il progetto è tanto ambizioso quanto interessante. Spero solo che non sia un esercizio di autocompiacimento. D'altra parte ha voluto rischiare, quindi sarà consapevole delle possibili (presumibili) critiche. Will see! :)
RispondiEliminaMa dopo un'intervista come questa come si potrà accusarlo di autocompiacimento? :)) Il suo lavoro è sempre così sviscerato e "motivato" che posso solo continuare a provare profonda stima.
RispondiEliminaLe critiche non sono mancate ma erano tutte prevedibili (intellettualismo, personaggi un po' sacrificati rispetto al rilievo dato ai paesaggi e a soluzioni tecniche piuttosto ardite), ma un piccolo miracolo James l'ha già fatto inducendo un sacco di gente a leggere quel capolavoro della letteratura americana. Questa intervista è splendida e entra nel vivo della questione più di ogni altra cosa che abbia letto in merito al film.
RispondiEliminaSon d'accordo, Faulkner è tra i miei scrittori preferiti. Anche per questo temo che il film mi appaia deludente, ma spero di no. Che sia motivato non lo metto in dubbio, la mia paura è che la trasposizione sia insufficiente (soprattutto per l'elevato coefficiente di difficoltà). Ma è inutile fare tante chiacchiere premature, prima lo vedo e poi sarò pronto ad abiurarmi. :)
RispondiEliminaIo oramai sono una campana rotta, ma più di As I lay dying mi aspetto una rivelazione dal film che ha tratto da Child of God di Cormac McCarthy. Lì il rischio di essere cervellotico non c'è. ;)
RispondiEliminaAspetto con ansia anche quello. :)
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