di Sonny
"Which role will you play?" C'è chi considera l'arte contemporanea un bluff, forse perché non stimola sinapsi immediate: troppa interpretazione, poca sostanza. Ma a quasi un mese di distanza, "Psycho Nacirema" continua a tornarmi in mente e ne scrivo ora, che ha avuto il tempo di sedimentare e appartenermi. Con me, il 6 giugno, Eva, storica lettrice e collaboratrice del blog. Ci ritroviamo al 6-10 di Lexington Street, una via anonima a pochi passi della ben più vivace Soho. Suoniamo il campanello che segnala la Pace Gallery e il gioco dell'immedesimazione ha ufficialmente inizio. Saliamo la scale e superata una pesante porta nera ci ritroviamo nell'American Psycho di James. Il colpo d'occhio ci lascia subito storditi: l'insegna luminosa del Bates Motel a dare il benvenuto insieme ad un inquietante suono di violino. Nel corridoio centrale, il portico con l'ingresso alle stanze. Entriamo nel foyer e un dipinto di Norman Bates impone subito la simbiosi col suo monologo interiore: è la scena finale del film, la follia lo ha sopraffatto, lui guarda noi e noi guardiamo lui. Nella parete di fianco il bancone, con sopra il registro delle firme, la prima delle videoinstallazioni presenti nella mostra. E' James travestito da Marion Crane che arriva al Bates Motel: siamo lui, siamo con lui e ci accompagna verso la stanza successiva. E' il soggiorno di casa Bates, ci sono animali impagliati, barocchismi, suppellettili, foto e sangue. Un proiettore trasmette l'incontro tra Marion e Norman e siamo spettatori indecisi sul chi volere essere. Sulla parete, due buchi. Spiare significa abbandonarsi, mettersi quasi in ginocchio in mezzo all'esposizione e fare i conti col proprio spirito voyeuristico. Diventiamo Norman e spiamo Franco/Crane che si spoglia e riproduce la scena della doccia. Anche questo video ha i frame rallentati, James tributa il 24 Hours Psycho di Douglas Gordon (curatore di questa mostra) e prosegue lo stesso discorso ribaltando il senso dell'immagine e offrendo a chi guarda nuove e soggettive suggestioni. La "stanza numero 1" dove Marion Crane si appresta a passare la notte, diventa invece un letto sfatto parafilico: enormi pupazzi violentati, maschere, dildo, l'intimo american apparel e accappatoi dello Chateau Marmont ricoperti di colore, versato come liquido seminale. Un video ci racconta cosa è successo, mentre sul pavimento e sulle pareti, scritto con la vernice rossa, il nome TEDDY, che è anche il nomignolo con cui veniva chiamato James da bambino. Nel percorso della mostra, la stanza diventa una nuova tappa negli abissi della psiche, tra perversioni nascoste e prese di coscienza. Il suono del violino è sempre più forte e arriviamo nel cuore del "Master" Bates Motel: il bagno. La suggestione è fortissima. Ci troviamo di fronte ad un'immagine scolpita dal cinema nella nostra mente e la stiamo vivendo in prima persona. E' il punto della mostra in cui i ruoli convergono e come in un gioco di specchi, bastano pochi passi per diventare ora Norman, ora Marion, vittima e carnefice. Nella vasca, un mucchio di paperelle gialle immerse nel sangue, un tocco ironico e grottesco che ha il sapore della perdita dell'innocenza.
Il bianco accecante caratterizza anche la "stanza numero 2", l'ultima, dedicata all'attore Fatty Arbuckle e alla morte di Virginia Rappe, avvenuta tra le mura del St. Francis Hotel. La sua storia non sfigura tra le pieghe oscure del Bates. Al centro della stanza un letto e una scritta sul pavimento che invita a sedersi. I video proiettano le immagini di Fatty e Virginia, durante un party che termina con uno stupro. Rivediamo gli stessi personaggi nei video che riproducono quattro cortometraggi dell'era del muto. James interpreta Charlie Chaplin, Brian Lally è Fatty Arbuckle. E' interessante assistere alla dicotomia tra il fatto privato che ha cambiato per sempre la carriera di Arbuckle e il suo personaggio cinematografico (seppure reinterpretati). Ma più che dare risposte su chi fosse veramente Arbuckle, James "depersonalizza" ancora una volta le immagini con un ralenti che è l'esatto contrario del ritmo slapstick e la commedia assume un significato totalmente nuovo. La gag diventa ipnotica ed inquietante e ci si abbandona completamente alla visione. L'effetto di questa stanza (e dell'intera mostra) è ben descritto dall'insegna che si trova all'uscita: SO BEAT ME. Sì, James ha colpito, e ci spinge a fare i conti con le nostre nevrosi, le nostre deviazioni e paure inconsce. Emotivamente nudi, si torna in mezzo al traffico di Lexington Street: una doccia fredda. SI raccolgono i pensieri. Quale ruolo ci è piaciuto interpretare? Io ed Eva siamo poi tornati separatamente a rivedere la mostra, a calpestare la moquette del Bates, a cogliere nuove sfumature, a perderci ancora… o forse solo ad essere sicuri di potere fare ancora una doccia senza pericoli.
Il bianco accecante caratterizza anche la "stanza numero 2", l'ultima, dedicata all'attore Fatty Arbuckle e alla morte di Virginia Rappe, avvenuta tra le mura del St. Francis Hotel. La sua storia non sfigura tra le pieghe oscure del Bates. Al centro della stanza un letto e una scritta sul pavimento che invita a sedersi. I video proiettano le immagini di Fatty e Virginia, durante un party che termina con uno stupro. Rivediamo gli stessi personaggi nei video che riproducono quattro cortometraggi dell'era del muto. James interpreta Charlie Chaplin, Brian Lally è Fatty Arbuckle. E' interessante assistere alla dicotomia tra il fatto privato che ha cambiato per sempre la carriera di Arbuckle e il suo personaggio cinematografico (seppure reinterpretati). Ma più che dare risposte su chi fosse veramente Arbuckle, James "depersonalizza" ancora una volta le immagini con un ralenti che è l'esatto contrario del ritmo slapstick e la commedia assume un significato totalmente nuovo. La gag diventa ipnotica ed inquietante e ci si abbandona completamente alla visione. L'effetto di questa stanza (e dell'intera mostra) è ben descritto dall'insegna che si trova all'uscita: SO BEAT ME. Sì, James ha colpito, e ci spinge a fare i conti con le nostre nevrosi, le nostre deviazioni e paure inconsce. Emotivamente nudi, si torna in mezzo al traffico di Lexington Street: una doccia fredda. SI raccolgono i pensieri. Quale ruolo ci è piaciuto interpretare? Io ed Eva siamo poi tornati separatamente a rivedere la mostra, a calpestare la moquette del Bates, a cogliere nuove sfumature, a perderci ancora… o forse solo ad essere sicuri di potere fare ancora una doccia senza pericoli.
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